Tonino Moscatt
Da piccolo, a scuola, in certe giornate particolari, se l’umore del tempo e la buona pazienza della maestra lo permettevano e soprattutto, se qualche compagno di classe aveva avuto l’ardire e l’ingegno di portare con se un pallone, le petulanti e smaniose richieste di svago venivano ripagate con la concessione dell’” ora di ginnastica”.
In realtà non durava un’ora e di ginnastica se ne faceva ben poca. Ma eravamo autorizzati ad andare fuori, ad evadere dalla routine dei banchi e dei libri. E ciò ci bastava. In fila per due, in silenzio o quasi, perché l’avevamo promesso,attraversavamo il corridoio della scuola ed uscivamo ordinati dal portoncino piccolo. Eravamo li, nel cortile grande di cemento ruvido.
In quello spazio che ci appariva luminoso ed immenso non c’era nulla. Ne porte da calcio, ne linee per terra, ne qualsiasi cosa che potesse dare l’impressione di essere in luogo per fare sport. C’era il cortile e basta e se cadevi ti facevi un gran male. Ma in quel momento diventava il nostro stadio. All’ombra di un pino enorme iniziavamo a dividerci in squadre. Il rito era diretto dal proprietario del pallone a cui non tornavano mai i conti, fino a quanto non si ritrovava nella squadra più forte. Ognuno di noi era comprensivo, in fondo il pallone era il suo. In pochi attimi le squadre erano pronte e con esse le porte fatte di zaini o grembiuli gettati in terra a distanza di dieci passi l’uno dall’altro. Ci ribadivamo le regole essenziali e via. Si giocava.
Alcune volte però questo meccanismo perfetto non funzionava. Qualcuno o qualcosa faceva saltare l’ingranaggio. Non c’era accordo per le squadre ed allora visto il tempo tiranno e la poca pazienza di quell’età, il più spavaldo nella mischia, prendeva coraggio, guardava tutti, dava un calcio verso l’alto alla palla ed urlava “tutti contro tutti!!!”
Iniziava un nuovo gioco. Non c’erano squadre, ne regole, ne arbitri, ne obiettivi. Stavamo pochi istanti a guardare la palla volteggiare in aria e poi con una corsa affannosa cominciavamo ad inseguirla. Spintoni, urla, pedate poco ortodosse, tutto sembrava ammesso, anzi tutto era ammesso.
Quel gioco a me non piaceva!!!
Sarà perché fin da allora avevo le spalle strette ed il corpo esile e prendere bastonate per il gusto di sfiorare per un attimo il pallone o finire in terra e farmi male non lo consideravo affatto divertente, sarà perché non ne capivo il senso. Continuavo a giocare perché quell’ora mi apparteneva, ma non mi divertivo.
Il” tutti contro tutti”, allora, in quel cortile della scuola così come oggi nella piazza della politica non mi piace, non mi diverte.
Allora come oggi non ne capisco il senso, non comprendo e non mi piace l’idea di quel pallone in aria e della mischia, della folla, della confusione dove parole e responsabilità si confondono, dove non esistono squadre , armonie, senso di condivisione. Dove si gioca da soli, per se stessi, , e soli, ci si accontenta di sfiorare il pallone senza mai immaginare di costruire un’azione complessa che coinvolge più persone.
Allora come oggi preferisco le partite normali, dove si gioca in squadra e di squadra, dove l’obiettivo non è per potersi vantare di aver tenuto il pallone più degli altri, dove le regole sono regole, dove per costruire un gruppo ci vuole pazienza, tanta pazienza.
Nel “tutti contro tutti” basta dare un calcio in più ogni tanto, o darlo nel momento opportuno, e poi mettersi in disparte, nelle partite normali serve allenamento e costanza. Così come nella politica. Si può decidere di dare un colpo quando capita o scegliere di dedicare ogni giorno a lavorare per fare spogliatoio, per allenare la mente ed il corpo, per aggregare, per condividere, per inventare, per tenere sempre alta la passione e l’attenzione. Nel “tutti contro tutti” basta un post, una lettera, un Hashtag, quando se ne ha voglia, quando ci si sente indignati, nelle partite normali serve tanto altro e tanto di più.
Questo Pd, così tanto al centro dell’attenzione, che è rinato dalle ceneri e che non ha avuto nemmeno la presunzione di portare il pallone, non è di “questo” o di “quello” , ma è dei tanti che ci stanno e ci vivono, questo PD, gioca nel rispetto delle regole una “partita normale” per un amore di straordinaria città.
Alla fine dell’ora di ginnastica, dopo il “tutti contro tutti”, si tornava in classe sudati e pieni di lividi, ed ognuno dei giocatori, al massimo poteva vantare di aver sfiorato la palla per qualche attimo. Alla fine delle partite normali si tornava ugualmente sudati ed pieni di lividi ma alcuni potevano vantare di aver fatto un bellissimo passaggio o un gran goal. Ecco, il Pd, piaccia o non piaccia, al “tutti contro tutti “ non vuole giocare, preferisce le partite normali, quelle di senso, preferisce allenarsi, per poter raccontare un giorno di aver fatto un grande gioco di squadra e soprattutto aver permesso una straordinaria vittoria per il nostro Paese.
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La metafora raccontata dal caro on.Tonino è affascinante….sicuramente in riferimento all’attuale situazione della “città straordinaria” che è FAVARA…..Quale la conclusione ?……non si può restare nel vago….né legittimare una situazione “pilatesca”…….la conclusione migliore forse dovrebbe essere nella direzione di fare “marcia indietro”…..sincerità ed umiltà….eliminare parole superficiali e giustificazioni controproducenti…..e restando nella metafora…. mettere la palla al centro …..con coraggio autenticamente democratico…….incominciare nuovamente la partita e giocare sul serio……nel vero rispetto di tutti….i vivi e….nel caso (perché no ?) anche e soprattutto dei…..