Difficile stabilire esattamente quanti sono i giovani condannati dalle generazioni precedenti, compresa la mia, alla disperata ricerca di un lavoro. L’Istat parla di circa 6milioni tra disoccupati e inoccupati, concentrati nella stragrande maggioranza di casi nel meridione d’Italia.
Il lavoro manca al punto tale, che quello in nero, specie nel nostro territorio, si avverte, strano a dirsi, come un ammortizzatore sociale. Ce l’hai e te lo tieni gelosamente, anche sottopagato, anche se è una nuova forma di schiavitù.
Vi racconto la storia di un ventiseienne, uno su milioni, che ha solo gli occhi per piangere e tanta voglia di lavorare, con il preciso intendo di aiutarlo a trovare un’occupazione qualsiasi e ovunque in Italia. Non voglio strappare lacrime ad alcuno. Personalmente, davanti a simili casi, il senso di colpa per appartenere alle “colpevoli” generazione precedenti supera la partecipazione emotiva sul fatto in se stesso. La mia generazione ha vissuto le stesse peripezie dell’attuale e nella stragrande maggioranza non ha trovato occupazione nell’Isola. E’ il dopo che ci condanna. Precisamente, il dopo aver trovato il lavoro e l’essere ritornati nella nostra terra. A quel punto, non abbiamo cercato di costruire un futuro per i nostri figli, nella nostra Sicilia.
Il lavoro, in moltissimi casi, non ci ha riscattati dal clientelismo politico. Ci siamo attaccati al culo di questo o di quell’altro onorevole, del potente uomo politico che ha divorato il futuro di tutti. Loro ci derubavano e noi li applaudivamo. E ancora oggi il fenomeno, anche se attenuato, continua. A danno ormai consumato lo racconto solo per confessare il senso di colpa di una generazione.
Torniamo alla nostra storia e al suo protagonista. Non ha più i genitori e deve sostenere i suoi due fratelli. Ogni giorno della sua esistenza è una vera e propria scommessa per la sopravvivenza. E la giornata per lui si inizia all’alba in piazza Itria, dove “vende”, meglio dire “svende” le sue braccia per qualsiasi lavoro dal bracciante agricolo all’imbianchino, da uomo delle pulizie al muratore. La necessità di lavorare non gli ha concesso di apprendere e specializzarsi in una precisa attività, ma ha le sue esperienze come elettricista, idraulico, meccanico, imbianchino, agricoltore. Non è riuscito a mettere da parte i soldi per acquistare gli attrezzi di uno solo di questi lavori, tutto quello che riesce a ricavare copre a stento le spese per assicurare a se stesso e ai suoi fratelli un pezzo di pane.
Ieri l’ho incontrato, erano mesi che non lo vedevo, in piazza San Calogero usciva dalla chiesa, dove quando può si reca a pregare in un dialogo con Dio che quasi lo esclude dal contesto della vita. In ginocchio davanti al Crocefisso, piuttosto che, come ne avrebbe diritto, fuori a godersi i suoi ventisei anni, la sua gioventù. Mi parlava trattenendo le lacrime della sua faticosa ricerca di un lavoro. Me ne parlava con una dignità gigantesca, che quasi gli invidio. La sua gigantesca dignità lo ha spinto, lo scorso Natale, a regalarmi una scatola con dentro un piccolo panettone, lo spumante e cioccolatini. Cose che aveva, molto probabilmente, ricevuto in dono e che, togliendosele dalla bocca, ha donato al suo amico con i capelli bianchi. Inutile qualsiasi tentativo di rifiutarli e di trattenere l’emozione per il gesto generoso.
Ha le mani legate dalle catene della disoccupazione e tenute strette dalla solitudine, spera di liberarsene con l’aiuto degli altri ovunque in Italia.