di Antonino Vizzini (Ingegnere dei Trasporti)
Un tempo, Massimo Ranieri cantava “Se bruciasse la città”. Chi si trova a camminare per le vie di Palermo, invece, potrebbe cantare, preoccupato, “Se sprofondasse la città”. Come è accaduto a due passi da via Leonardo Da Vinci, in via Scobar, complici Open Fiber e il traffico pesante deviato su quella stretta arteria, un tempo tranquilla, dalla rivoluzione del traffico conseguente al tram.
Il problema nasce da una impostazione del trasporto cittadino che penalizza il trasporto privato a favore di quello pubblico. Intendiamoci, ben venga il tram e ben venga che il trasporto pubblico venga riconosciuto come più appetibile rispetto a quello privato. Ma, attenzione, il tram deve essere concorrenziale per la sua particolarità, non perché è stato creato un collo di bottiglia che penalizza il traffico privato, crea caos in tranquille vie destinate solo all’uso residenziale e dissuade i cittadini da una scelta equilibrata fra i due modi di trasporto per poter scegliere il più conveniente. La gestione del traffico di Palermo è più un diktat ad abbandonare il mezzo privato che l’aggiunta di un nuovo servizio alla rosa dei modi di spostamento utilizzabili dai cittadini. E i diktat non possono pagare, specialmente quando la pianificazione del tutto è stata fatta senza le dovute indagini preliminari sull’origine e sulla destinazione degli spostamenti, sull’incidenza del traffico pesante, sul costo, inteso più come impiego del tempo che come importo monetario, che il cittadino deve sostenere per soddisfare le proprie esigenze di mobilità.
Andiamoci con ordine: A Palermo esiste una grossa zona di aggregazione di abitazioni, popolari e residenziali, a monte della circonvallazione, in corrispondenza delle vie Leonardo Da Vinci e Michelangelo Buonarroti. Esiste anche un porto, che si trova più o meno in corrispondenza del prolungamento della via Leonardo da Vinci verso il mare. Cosa fa il comune per fare posto al tram? Semplice, attiva i sensi unici. E, naturalmente fa quello che farebbe chiunque disegni frecce su una mappa topografica, senza avere contezza dei numeri derivanti dalle esigenze dei cittadini. Quindi, prende entrambe le arterie principali e istituisce il senso unico in direzione monte. Bellissimo, e per andare da monte (o dalla circonvallazione) verso il centro città, cosa si deve fare? Per il Comune non c’è problema, c’è un bel dedalo di stradine che si possono percorrere, non importa se la sede stradale è stretta, è necessario affrontare curve a gomito, quasi impossibili per i mezzi pesanti o anche per gli autobus, non sembra che si tenga conto neanche dello stato strutturale della sede stradale, per assicurarsi che sia stata progettata opportunamente in funzione dei carichi che le si vogliono assegnare. E il tutto, ripetiamo, in modo completamente spannometrico, per non dire di peggio, dal momento che gli ultimi studi condotti scientificamente sulle esigenze di mobilità a Palermo risalgono al Piano dei Trasporti per l’area metropolitana finanziato dalla ormai defunta Cassa per il Mezzogiorno nei lontani primi anni ’80 del secolo scorso.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti: traffico impazzito in stradine capaci a malapena di accogliere un veicolo non troppo largo, strade che sprofondano, difficoltà di parcheggio in tutte le zone interessate.
Palermo si è ultimamente beata molto di essere “Capitale della Cultura”. Ci chiediamo, ma da questa cultura così sbandierata è stata epurata tutta la parte tecnico-scientifica che fino a qualche tempo fa rendeva la nostra Università un punto di riferimento per l’intero Paese? Non si vive di solo pane, dice la Bibbia, ma non si vive neanche si una cultura formata solo da bancarelle per le strade e poesie declamate in giro. No, la cultura è ben di più, chi crede di poter fare bella figura rifugiandosi nella cultura classica cancellando tutta quella che ha portato al progresso e al benessere non fa una buona operazione.
Provino a determinare gli interventi sul traffico con metodo scientifico, troveranno anche il modo di rendere appetibile il mezzo pubblico senza per questo penalizzare quello privato, che ha pure la sua ragione di esistere e di essere agevole. Provino a leggere tutta la letteratura in materia e a implementare un sistema informatico di rappresentazione e previsione della mobilità. Poi, con i dati alla mano, progettino correttamente le opportune soluzioni.
Chi scrive, 40 anni fa ha avuto l’opportunità e, direi, l’onore di far parte del gruppo di lavoro che ha verificato, con software sviluppato dalla Planning Transport Research Computation di Londra, gli interventi allora progettati e realizzati. Se ne ravvisassero la necessità, è a disposizione per illustrare le metodologie e le tecniche seguite allora, che oggi sembrano essere cadute nel dimenticatoio. Per il bene di una città che non merita la sorte che sta subendo attualmente.