di Domenico Bruccoleri
Il 16 marzo 1978, venne rapito in via Fani, a Roma, Aldo Moro e la sua scorta trucidata con una ferocia inaudita.
Sono trascorsi 34 anni e il suo monito “ Questo Paese non si salverà e la stagione dei diritti e delle libertà, si rivelerà effimera se in Italia, non nascerà un nuovo senso del dovere” è più attuale come forse, mai, lo sia stato.
Quello che ancora lo rende attuale è la definizione dell’ Osservatore Romano del 5 maggio 1978 che lo definisce “ l’ uomo dell’ascolto”. Una disponibilità che contraddistinse il suo modo di essere e di operare.
Il “meno implicato” secondo la definizione di Pasolini, richiamata da Leonardo Sciascia nel suo “affaire Moro”, una pubblicazione che ha fatto discutere, sulla personalità di Moro, nelle lettere della sua prigionia. Implicato, si intendeva, nel “sistema di potere democristiano” all’epoca dominante nella pubblicistica nazionale.
L’ ascolto di cui scriveva l’autorevole quotidiano cattolico, è meglio espresso da Ugo la Malfa sul quotidiano il “Giorno” il 12 maggio 1978, quando ricordando le elezioni del 1953, alla vigilia del varo del primo Governo di centro sinistra, scrive, “bisognava battere nuove strade per impedire il costituirsi di due fronti contrapposti”, “ebbi in Aldo Moro un partecipe e attento osservatore” nel tentativo di allargare il quadro democratico, chiamando un’ altra forza democratica a sostegno del governo della Repubblica”. Una personalità politica, schiva e riservata e cosi autorevole, a cui veniva riconosciuto il merito e la capacità di legittimare le forze di Governo tra quelle fino a quel momento dette “anti sistema”.
Un ruolo svolto in questi giorni dall’ Ambasciatore U.S.A. Ai giovani che hanno votato M5S, che testimonia come sia stata smarrita, dai partiti, l’eredità di Moro che appartiene al patrimonio culturale e sociale di tutto il paese.
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L' eredità di Aldo Moro, quando la politica ascoltava il bisogno di cambiamento della società
By vedisotto2 Minuti di lettura