Piero Mangione
Come sappiamo, è difficile trovare tra la gente, parlando di Europa e di euro chi ne faccia le lodi perché è opinione diffusissima che sono entrambi colpevoli e responsabili dei guai degli italiani e della crisi del sistema economico e sociale.
Poi, magari, aggiunge tra i “rei” la classe dirigente politica che si è nascosta nel “ventre molle” di una montagna di privilegi vergognosi da cui non vogliono uscire ed a cui non vogliono rinunciare unitamente ai ceti alti ed alle élites di una Italia “sì bella e perduta”.
L’anti europeismo non ha residenza solo nel nostra Paese ma, sappiamo che, come il vento, percorre tutto il continente con intensità diverse, così come diversi sono i connotati dei partiti e dei movimenti che l’alimentano e strumentalizzano elettoralmente.
Purtroppo i fatti si sono incaricati di smentire il “gruppo di comando” tecnocratico, politico ed istituzionale dell’UE, che è liberista e che con la strategia del rigorismo e della austerità avevano assicurato l’uscita dalla crisi ed il rilancio della crescita, seguendo il pensiero sviluppato nelle università di Cicago, Minnesota, Rochester, Bocconi, denominato dei Cicago boys, secondo cui una massiccia, prolungata caduta della domanda non sarebbe mai più accaduta, dopo la crisi del 1929, che si è protratta sino al 1039.
Ed, invece è accaduto che l’economia si è rinsecchita, i ceti medi sono collassati, la disoccupazione giovanile e dei maturi è schizzata in alto, le tutele sociali sono quasi del tutto sparite, la depressione ha preso il sopravvento ed il pericolo di un tracollo dei prezzi al consumo, cioè di una deflazione che metterebbe a rischio altre migliaia di posti di lavoro e di aziende.
Al dunque, il “gruppo di comando” tecnocratico, politico ed istituzionale europeo, che è di destra, ha negato e continua a negare l’evidenza e, cosa ancora più grave, accusa i governi, ad alto debito pubblico ed a bassa competitività, di non avere fatto bene i compiti a casa e cioè di non avere fatto abbastanza rispetto alla ricetta europea.
Come a dire, per quanto ci riguarda che Berlusconi, Tremonti, Maroni, Sacconi e Monti/Fornero dovevano fare una più grande macelleria sociale, per cui all’Italia di Renzi chiede più precariato, ancor meno stato sociale, più privatizzazioni, come se non sapesse che salari e pensioni risultino già ben al di sotto della media europea (-30%), che i capitoli di spesa per le tutele sociali sono stati quasi del tutto prosciugati, che i contratti di lavoro sono stati congelati da anni, esattamente come le pensioni, mentre il costo della bolletta della vita è cresciuta.
A questo “gruppo di comando” che con la sua ricetta ha reso più forte solo la Germania si contrappone un’idea di sinistra ed una ricetta, che è ben conosciuta, e che prescrive un grande intervento pubblico nazionale ed europeo con iniezioni finanziarie che possono rivitalizzare l’economia, il lavoro e le tutele, usando, anche, le leve fiscali.
Noi sappiamo che ben due mila miliardi (2 mila miliardi !) di euro sono stati messi a disposizione dall’UE, non per salvare gli Stati e le genti, ma per il salvataggio delle banche, mentre per lo sviluppo e l’occupazione ci sono stati solo pochi finanziamenti, che per l’Italia ammontano ad un miliardo e mezzo, attraverso il così detto piano “garanzia giovani”.
Poi, oltre il bonus di 80 euro e la jobs – act di Renzi non c’è più nulla se non più precarietà e meno diritti nel lavoro: una vergogna!
E tutto questo mentre la politica espansiva di Obama contro la disoccupazione di massa ha prodotto l’abbassamento del tasso di disoccupazione al 6,3% e solo nel trascorso mese di aprile la creazione di ulteriori 288 mila nuovi posti di lavoro.
Ora se nel continente cresce la rabbia ed il risentimento contro questa Europa la colpa è proprio di questo “gruppo di comando” che va sconfitto con le prossime elezioni .
Lavoriamo, dunque, e speriamo che alle sinistre europee arrivino tanti voti per potersi concretizzare la svolta che vogliamo e di cui stiamo parlando ed approfondendo ancora in questo ultimo scorcio di congresso della CGIL che si concluderà a Rimini la prossima settimana.
Va ricordato che in Italia dall’oggi al domani, con il passaggio dalla lira all’euro, i prezzi di tutti generi di consumo sono balzati in alto del 100% con una speculazione traumatica realizzata da parte dei “venditori di beni, merci e servizi” non impedita e non sanzionata.
Sempre in Italia, a latere dell’anti europeismo c’è chi chiede, come la lega ed i grillini, unitamente ad altri, l’abbandono dell’euro ed il ritorno alla lira.
La questione è complessa e il rancore con cui se ne parla impedisce la semplificazione degli effetti.
Tuttavia, c’è chi ci dà una visione realistica del problema spiegandoci come la nuova lira rispetto all’euro perderebbe forza e valore tra il 30 ed il 50%.
Quindi, inabissamento dei salari e delle pensioni, con perdita del potere di acquisto di beni, merci e servizi per la maggioranza delle persone e, poi, i depositi bancari in euro subirebbero, all’atto del ritorno alla lira, una decurtazione di pari entità e le aziende importatrici di materie prime per il lavoro manifatturiero, le pagherebbero di più per via della debolezza della lira rispetto all’euro e al dollaro: penso all’energia, al petrolio, al gas, di cui l’Italia ha bisogno per il suo sistema paese.
Mentre ne avrebbero giovamento quelle che fanno solo esportazione di prodotti interni.
Così come troverebbe un utile vantaggio chi all’atto del cambio della moneta avrà in casa liquidi significativi di euro che il governo non potrà salassare e chi si troverà con un mutuo bancario acceso in euro, perché pagherebbe di meno con la lira.
E’ chiaro che chi si troverà ad avere depositi in banca alle prime avvisaglie si recherà agli sportelli per ritirarli e, quindi, è facile prevedere l’assalto alle banche e la loro chiusura fallimentare per assenza di liquidità, lasciando ai risparmiatori titoli svalutati.
Questo scenario renderebbe il nostro Paese fortemente esposto alla perdita di credito internazionale e l’economia, non solo non si rafforzerebbe, ma sarebbe assediata dalla speculazione finanziaria, dalla disoccupazione, così come ci ha insegnato l’Argentina.
Quindi restare in Europa e con l’euro è utile al Paese, a noi che non siamo ricchi e neppure élites: certamente vogliamo una Europa altra e che torni al suo umanesimo.
Lo scontro a cui partecipiamo 1l 25 prossimo è palese.
Esso si fonda tra chi vuole più Europa politica e sociale e chi vuole meno Europa per la rinazionalizzazione di tutte le politiche, a cominciare dal festival delle svalutazioni della lira, con le note conseguenze.
Il discorso è in se complicato, mentre è semplice capire che bisogna restare nell’euro ed in Europa, in una altra Europa, ma perché questo accada bisogna battere le destre, gli euroscettici ed i populisti per sostituire il “gruppo di comando” europeo con la vittoria delle sinistre.
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