Giuseppe Maurizio Piscopo
Nel mese di ottobre del 2023 Antonio Arnone e Giovanni Marchica due intellettuali favaresi che hanno dato tanto lustro alla storia del Paese del Cammino della speranza, hanno pubblicato un libro molto affascinante che tutti i favaresi e siciliani dovrebbero leggere e avere a portata di mano nella loro biblioteca di famiglia. Il libro si intitola “Favara tra dialetto e storia” glossario della parlata favarese, con una raffinata prefazione del dottore Antonio Patti. Amo il dialetto in maniera straordinaria ne faccio uso ogni giorno. Non c’è maniera migliore per esprimermi, certe volte parlo un italiano forbito, poi inserisco qualche parola in inglese, ma calo l’asso quando mi esprimo in dialetto… “A Favara si usa ancora a parlata n’cantunera”, “U re fitusu consumò il mio sarto in una innocente partita a zichinetta e fu costretto ad emigrare nella lontana Merica”, “Pi mennuli muddrisi alla Ragona e pi picciotti beddri a la Favara”, “Ora ca mi lassasti mi milenu, cu quattru costi e du litri vinu”, “Ni lu curtigliu di setti curtiglia maru dru picciuttedru ca ci n’caglia”… E potrei continuare per tre giorni di seguito… Ma se volete ancora sognare con la nostra parlata, vi invito a leggere il libro di Antonio Arnone e Giovanni Marchica. Ai due Autori desidero porre delle domande precise.
Quando e perché nasce il libro Favara tra Dialetto e Storia?
L’idea di scrivere un libro sulla “storia” di Favara attraverso il suo dialetto è nata alcuni anni fa ed è stata dettata soprattutto dalla consapevolezza che il ricco e variegato patrimonio linguistico del nostro territorio, in crisi ormai da molti decenni, attraversava un punto di non ritorno. I fenomeni linguistici, così come quelli storico-antropologici, sono, purtroppo, inarrestabili. Essi sono legati tra loro a doppio filo e la crisi dell’uno si ripercuote inevitabilmente su quella dell’altro: simul stabunt simul cadent.
Oggi più che mai Favara, come l’intera Sicilia, corre il gravissimo rischio di smarrire (ma in gran parte l’ha già fatto!), con la propria identità linguistica, anche e soprattutto la propria fisionomia culturale, che in ultima analisi rappresentano le due facce di un’unica medaglia.
Il lavoro, non registrandosene di analoghi nella letteratura locale sull’argomento, si propone, dunque, come un primo parziale tentativo di salvare dall’oblio, attraverso l’uso dello strumento linguistico, una parte consistente della storia e delle tradizioni locali così vive fino a non molto tempo fa, che l’insensato “progresso” degli ultimi decenni ha quasi completamente spazzato via dal ricordo delle giovani generazioni, e non solo di esse.
“Il dialetto siciliano perde una corda al giorno…” Cosa intendeva dire Ignazio Buttitta con questo verso tratto da“Lingua e dialettu”?
“… [Un populu] diventa poviru e servu / quannu i paroli non figghianu paroli / e si mancianu tra d’iddi. / Mi n’addugnu ora, / mentri accordu la chitarra du dialettu / ca perdi na corda lu jornu.”
Per Buttitta la crisi della lingua siciliana è assimilabile a quella della stessa identità del popolo dell’Isola, di cui costituisce l’elemento fondante.Nell’accorata difesa che il poeta fa della lingua siciliana paragona quest’ultima ad una chitarra che perde una corda al giorno, ma anche ad una tela che si sfalda inesorabilmente: “Mentri arripezzu / a tila camuluta / ca tissiru i nostri avi / cu lana di pecuri siciliani.”
Alla fine non gli rimane altro che accontentarsi, suo malgrado, di ciò che ci resta: “Nni ristò a vuci d’idda, / a cadenza, / a nota vascia / du sonu e du lamentu: / chissi no nni ponnu rubari. / Non nniponnu rubari, / ma ristamu poveri / e orfani u stissu.”
Cosa significa un libro di narrazione e di testimonianza?
Come afferma il compianto Antonio Patti nella sua presentazione, il libro non è soltanto una raccolta di vocaboli, ricerche storiche, etnografiche, economiche, ecc., è principalmente un libro di narrazione, di testimonianza. Esso non descrive per argomenti, per capitoli, la vita e la lingua del popolo favarese, ma in rigoroso ordine alfabetico. Dal testo emergono usi, costumi, credenze, religione, il territorio con i suoi toponimi, pietanze, condizioni di vita e di lavoro, vicende storiche, ecc.: un approfondito lavoro di ricerca e di analisi teso a conservare la memoria di un passato che è giusto proteggere e custodire a beneficio di questa e delle future generazioni.
Favara e le tradizioni. Cosa rimane al tempo di Internet e della comunicazione veloce?
Il fiume della storia scorre, travolgendo ineluttabilmente tutto quello che incontra lungo il suo cammino: fatti, avvenimenti, usi, costumi, consuetudini, a distanza di decenni cadono irrimediabilmente, come mai era avvenuto prima, nel dimenticatoio, trascinando con sé l’apparato linguistico che serviva per esprimerli. Di conseguenza, il compito di un lavoro come il nostro è quello di conservarne la memoria. Si sa, la storia è maestra di vita e a volte, non stupiamocene, anche quella locale può essere di ammaestramento.
A chi si rivolge questo libro e quali obiettivi intende raggiungere?
Vogliamo conservare la memoria del passato per trarne degli utili insegnamenti per il futuro. Il libro è rivolto a tutti quelli che amano il proprio paese e vogliono tenere accesa la fiammella del loro amore verso di esso.
Antonio Arnone e Giovanni Marchica
Antonio Arnone
Nato a Favara nel 1941, si è laureato in Pedagogia al Magistero di Catania nel 1970 e si è abilitato in Materie letterarie nel 1974. Accanto all’attività di docente ha svolto un’intensa opera di ricerca storica riguardante l’ambito favarese. Tra le sue pubblicazioni si ricordano: Mito, storia e toponomastica in territorio di Favara (1997), Solfare e Mafia (2002), I racconti di Isola persa (2011), Zolfo, economia e società in contrada Ciavolotta (2015) e Favara ‒ Opere pie e rifondazione del paese (2019).
Giovanni Marchica
Nasce a Favara nel 1950, frequenta l’Istituto Magistrale Statale “Raffaello Politi” di Agrigento, dove nel 1967 consegue il diploma di abilitazione. Nel 1972 si laurea in Pedagogia presso l’Istituto Universitario di Magistero di Catania, ottenendo subito dopo l’abilitazione professionale all’insegnamento di Filosofia e Scienza dell’Educazione negli Istituti d’istruzione secondaria superiore. Per circa un quarantennio insegna nelle scuole elementari delle province di Catanzaro, Caltanissetta e Agrigento. Nel 1991, con decreto del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, su proposta del Ministro per la Pubblica Istruzione, gli viene conferito il Diploma di Benemerenza di III classe per “l’opera educativa particolarmente zelante ed efficace svolta a favore dell’istruzione popolare”. Ha collaborato a giornali e riviste (Giornale di Sicilia, La Mela, Il Comune, AgrigentOfferte, BuyMagazine…) e ha sempre mostrato una grande attenzione per i libri e per i grandi autori della nostra letteratura, come Luigi Pirandello, Gabriele D’annunzio, Guido Gozzano.
Da alcuni anni si occupa soprattutto di editoria, curando l’edizione di libri di autori locali.
È in pensione dal settembre 2007.