Piero Mangione
Credo che ognuno di noi, appartenenti alla terza età, abbiamo colto il fatto che nelle arterie della società c’è in circolo una idea di rottamazione che ci riguarda in quanto dal momento che non lavoriamo e non produciamo merci o servizi per un datore di lavoro pubblico o privato che sia, saremmo dei “mantenuti”.
C’è nei nostri confronti una pressione mediatica che ci dice di ritirarci, di lasciare il campo ai giovani, di appartarci, di lasciare ai giovani i risvolti della vita.
C’è una idea secondo cui si può lasciare il lavoro o perderlo e non avere diritto alla pensione, esattamente in linea con l’operazione “esodati” della Fornero.
C’è una idea che pretende la esclusione dei non giovani dalle passioni della vita, dalle relazioni sociali, dai conflitti, dall’amicizia, dall’amore: come ad affermare che la perdita dell’età di lavoro o del lavoro determina di per se la perdita dell’inclusione sociale.
Manca solo l’esplicito disconoscimento del diritto alla vita di chi non svolge attività produttiva.
Quindi sarebbero le pensioni l’impedimento alla conquista di un salario da parte dei giovani.
Sappiamo tutti che mentre è in corso questa predicazione le pensioni si sono rinsecchite. E ciò malgrado sono e servono, in moltissimi casi ad aiutare figli e nipoti perché il lavoro non è aumentato, anzi è diminuito ed il sistema di tutele nel lavoro e nella società, conquistato dai pensionati quando lavoravano ed erano giovani, è stato smantellato quasi del tutto: quindi niente parassiti o bamboccioni.
La nostra è stata una generazione fortunata perché ha vissuto una vita migliore rispetto ai nostri genitori.
E’ una generazione preoccupata perché il futuro, che è già presente, appare per i figli privo di avvenire.
Molti di noi sanno che il pensionati non è solo ciò che racconta il proprio passato perché non si può vivere solo di passato tra malinconie e rimpianti, tra ricordi e nostalgie.
Ognuno di noi è, anche, il suo presente!
Ed il suo presente conta in ragione di quello che fa o r a per se e per gli altri.
Dal nostro ascolto congressuale abbiamo avuto confermato che i pensionati considerano come primo problema della loro famiglia, della società italiana, il lavoro che muore, quello che si trasferisce altrove, quello che non si trova, per cui la nostra gioventù non può costruirsi un futuro.
Poi, solo dopo, hanno parlato della loro pensione povera, modesta, delle tasse, delle tariffe, della sanità e della bolletta della vita.
Di converso ci sono pensatori che ci dicono che il mondo è cambiato e che noi non possiamo guardare all’indietro, ma dobbiamo puntare sul nuovo mondo che si è affermato.
Ma quando è brutto questo mondo in tutto il mondo!
Il nostro è un sindacato di lotta e di memoria e la memoria non è una scoria del passato, anzi è un fertilizzante del presente
Abbiamo il dovere di ricordare che i nostri padri e nonni non sono nati con la camicia.
Essi hanno vissuto anni di miseria, di stenti, di sfruttamento, di guerra, di soggezione sociale.
E tutto quello che hanno avuto se lo sono, ce lo siamo guadagnato e conquistato con le lotte.
Oggi ci sono tanti privilegiati, ci sono tanti abusi di casta, ci sono tante pensioni d’oro e d’argento, poi quelle di piombo, per cui questi pensatori moderni non hanno il diritto di mettere in un unico “mucchio” indistinto una colpa generazionale che non c’è: la colpa sta in una classe dirigente che ha venduto l’anima a Well Street.
Anche nella nostra generazione ci sono stati sfruttati e sfruttatori, prepotenti e rispettosi, giusti ed ingiusti, battaglie vinte e battaglie perdute.
Eppure la nostra generazione è rimasta in campo!
E’ sempre presente accanto ai giovani ed ai lavoratori che, colpiti dalla crisi lottano di meno nelle piazze d’Italia!
Di certo c’è stato chi 20 anni fa ha svenduto le nuove generazioni e precisamente quando la classe dirigente della sinistra politica non ha saputo dare forma nuova a se stessa.
Quando non ha saputo dare una nuova prospettiva alla società che si frantumava sotto i colpi di piccone della finanza, del capitalismo e del pensiero unico, in seguito alla caduta del muro di Berlino.
Mentre tutto questo accadeva, cinismo e carrierismo sono stati lo sbocco di molti ex rivoluzionari che sono entrati nelle caste, sino a provare fastidio nel sentire parlare i lavoratori, i pensionati, i giovani, la CGIL di diritti e di futuro.
Vogliamo ricordare quando il cammino della storia della sinistra politica italiana ha cambiato strada?
Dopo tangentopoli, mentre l’Italia ha svoltato a destra, la sinistra ha sterzato verso il centro moderato.
La prova di memoria sta nel fatto che per entrare nell’euro e per mettere a posto i conti nazionali sono state tagliate le spese sociali, sono state aumentate le tasse sul lavoro, è stata applicata la moderazione salariale, senza mai pretendere qualcosa dalla ricchezza privata.
Nel 2002, quando l’euro è entrato in vigore, si è determinato il raddoppio dei prezzi e simmetricamente la perdita del 50% del potere di acquisto dei salari e delle pensioni.
Risultato : il prestigio internazionale dell’Italia è aumentato, le classi più forti e più ricche hanno migliorato la propria condizione, il ceto medio ed i poveri hanno subito un forte abbassamento del tenore di vita e l’ingiustizia sociale è andata in progressione.
La subalternità dei governi di centrosinistra alle ragioni dell’impresa è evidenziata plasticamente dalle lacerazioni e dalle contrapposizioni tra il leader del PDS D’Alema e la CGIL di Cofferati, come tutti ricordiamo.
E’ stato il governo D’Alema a dare l’avvio a quel pacchetto di leggi, chiamato “pacchetto Treu” che ha introdotto nel mercato del lavoro il precariato, i contratti atipici, modificando in modo radicale le relazioni industriali e sindacali, cioè i rapporti tra lavoro e imprenditorialità.
E’ così che ha trovato riconoscimento legittimo il lavoro interinale, che tradotto ha significato che una società di reclutamento ha potuto affittare, a tempo determinato, i lavoratori mercificati agli imprenditori: una specie di caporalato legalizzato!
Così come è stato incentivato il part time e l’apprendistato.
Da quel momento in poi in Italia il lavoro dipendente è stato diviso in due fasce: una riservata solo agli anziani, con il lavoro a tempo indeterminato e protetto dallo statuto dei diritti dei lavoratori ed una seconda fascia in cui è stato collocato tutto il precariato, sottopagato e senza diritti.
E’ così che la sinistra politica è entrata nell’ordine di idee che l’interesse dell’impresa era ed è l’interesse del Paese, lasciando mano libera alla destra economica e politica di fare tutto quello che sappiamo.
Risultato: nessuno più ha rappresentato il proletariato di ritorno!
Dopo di ché, finito il mondo delle fabbriche, dismessa la dialettica tra salario e profitto, come centrale conflitto nel mondo del lavoro, è intervenuta una grande operazione di proletarizzazione del ceto medio e delle nuove generazioni che, nel novecento, avevano fatto il percorso inverso.
La differenza di fondo tra il proletariato del novecento e questo attuale sta nel fatto che, senza fabbriche, con lo smantellamento del tessuto industriale e produttivo, con il lavoro parcellizzato sino a ridursi in briciole con il lavoro domiciliarizzato, con quello a chiamata, con la politica di svalorizzazione del lavoro pubblico e privato e con gli accordi contrattuali separati, ispirati dai governi di destra e da confindustria, con una Europa in mano ai teconocrati e con scarsi risultati positivi sul fronte della contrattazione da un lato ed il costo delle merci e dei servizi in continua ascesa, è diventato assai difficile mantenere e riorganizzare la rappresentanza sindacale e politica, anche nella grande area del precariato da cui deriva la coscienza di classe.
Il disastro è evidente dentro e fuori casa: sono tornati ad esistere i lavoratori proletari, ma non esiste più la “classe” mentre i baroni della finanza, i capitalisti, i manager, i professionisti si sono fatti essi classe ed hanno aperto la nuova lotta di classe contro chi non appartiene al loro ceto, dopo avere corrotto la coscienza politica alla sinistra.
Dall’incubatore sociale esce l’antipolitica prima con l’era Bossi ed ora con Grillo.
Il nostro mondo è diventato un magma infinito e scollegato, un mondo di solitudini, di nuove povertà, di milioni di gente con problemi di reddito: tutte questioni che sono al tempo stesso problemi di identità.
Un operaio di fabbrica, per quanto mal pagato, sapeva chi era, sapeva di appartenere ad una classe, di potere contare su di una rappresentanza sindacale e politica : il PCI, il PSI e per tanti versi persino la DC, oltre che sulla CGIL, la CISL e la UIL, malgrado le differenze.
Egli sapeva di potere lottare e di potere vincere sui padroni, sulla destra, sui governi e di potere migliorare, come è stato, le proprie condizioni di vita perché non era solo.
Anche un postelegrafonico, un ferroviere, un infermiere, un insegnate aveva una identità di cui era orgoglioso e guardava al suo futuro, certo che sarebbe migliorato ed, in ogni caso sarebbe stato migliore rispetto al passato dei padri.
Si dirà che il contesto generale dell’Italia era diverso.
E’ vero oggi è fortemente cambiato, tutto è precario, tutto è più o meno precariato : non ci sono più i partiti che portarono la classe operaia in paradiso!
Nessuno oggi sa quali prospettive e quali esiti potrà garantire il futuro ai non garantiti, ma, anche, a quelli che sopno stati garantiti e non lo sono più.
Oggi chi ha più bisogno ha meno diritti e tutele di prima, anche se le nostre lotte di questi anni, spesso condotte dalla sola CGIL, hanno prodotto alcuni risultati positivi ed ora gli annunci di Renzi aprono una prospettiva fatta di luci ed ombre che meritano tutta la nostra attenzione e valutazione, così come stiamo facendo, senza facili ed improbabili scorciatoie.
Ora si tratta di riorganizzare gli sfruttati, di riscrivere una nuova “carta dei diritti” in questa brutta Europa, in questo brutta Italia e la cosa non è facile, né è semplice da realizzare per la CGIL che lo vuole fare e per il PD e la sinistra continentale che non si sa ancora dove vogliono andare.
A proposito sappiamo che le elezioni europee sono un banco di prova importante e su cui dobbiamo spendere il nostro impegno.
Come sappiamo la rabbia in giro è tanta, ma le idee per trasformarsi in politica, in lotte, in conquiste concrete credo che teoricamente siano contenute nel piano del lavoro e nel documento congressuale della CGIL.
Noi li abbiamo portati nelle nostre assemblee ed abbiamo riscontrato apprezzamenti significativi, ma abbiamo imparato che le idee nascono e/o si sviluppano se chi è stretto nella morsa del bisogno ascolta, parla, si auto organizza, cerca la via sindacale e politica, entrando dentro il sindacato ed i partiti per viverli, per cambiarli, per partecipare alle loro scelte, per avere voce nella costruzione del presente e del futuro che si chiama vita e lavoro.
Conclusivamente voglio sottolineare il fatto che mai, in nessuna epoca, qualcuno ha regalato qualcosa a chi stava sotto.
Ricordiamocelo che l’emancipazione della classe operaia e la conquista per tutti dei diritti nel lavoro e nella società sono costati sacrifici, esposizioni personali, lotte, cortei, manifestazioni, feriti e morti.
Noi lo sappiamo e per questo noi pensionati restiamo in campo per noi e per gli altri.
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Mangione: Alla terza età manca solo l’esplicito disconoscimento del diritto alla vita, ma noi restiamo in campo
By vedisotto10 Minuti di lettura