Pino Sciumè
La fantasia e l’ingegno umano abbondano ovunque, nel bene e nel male o, se preferite, nella povertà e nella ricchezza. Del caso da cui traiamo spunto, che può essere definito come una “non notizia”, tanto siamo abituati, ci limiteremo a qualche considerazione che sottoponiamo al libero pensiero del lettore.
Da parecchio tempo nella nostra terra e dintorni l’ingegno di qualche caporale o capitano del malaffare ha escogitato un modo, certamente non nuovo ma rinnovato, per la serie dei corsi e ricorsi storici, di offrire lavoro remunerato a qualche poverocristo in cambio di prestazioni tanto singolari quanto passibili di condanna penale. Stiamo parlando dei furti di rame o di ferro.
Non siamo, ovviamente, informati su come avviene il reclutamento, possiamo solo immaginare una specie di passaparola nei cosiddetti ambienti malavitosi che per diversi motivi riesce più o meno facilmente a trovare la manodopera. Posto che il rischio corso è verosimilmente sproporzionato al guadagno ottenuto, è facile presumere che ad eseguire l’opera sia appunto il nostro poverocristo.
Il quale, spinto dal bisogno e dalla prospettiva di poter riempire la pancia, non esita ad avventurarsi in azioni delinquenziali, a volte pericolosissime, come è avvenuto nelle campagne della zona Malvizzo-Deli, arrampicandosi sui pali dell’alta tensione per tranciare chilometri di fili di rame e consegnarli ai veri delinquenti che la legge chiama ricettatori. Ma non solo. Vediamo sparire i tombini sulle strade, ringhiere, cancelli, grondaie, finestre di case abbandonate, con il conseguente disagio e pericolo per la viabilità motorizzata e pedonale.
Le Forze dell’Ordine recentemente hanno smantellato, con una brillante e meritoria operazione investigativa, una vasta rete di ricettazione sequestrando tonnellate di materiale trafugato, assicurando alla Giustizia parecchi criminali. Ma i povericristi sono rimasti senza lavoro. Che fare? Ecco un’altra fantasia e un’altra alzata d’ingegno.
Da tempo immemorabile sono state installate in tutte le zone del paese migliaia di cassette di zinco contenenti i contatori dell’acqua e varia raccorderia metallica in attesa di far pagare ad ogni famiglia il giusto consumo. A causa delle stranezze (colpevoli?) dei nostri politici e verosimilmente dei tecnocrati preposti, nulla è stato fatto da allora ai nostri giorni, per il funzionamento della misurazione del consumo. Il problema è stato sin qui aggirato attraverso un raggiro ai danni della popolazione (scusate il bisticcio delle parole): far pagare una tassa uguale per un consumo disuguale per tutti. E qui rientra l’ingegno. Del poverocristo? No, del “datore di lavoro”, il ricettatore.
Il quale, da par suo, avrà pensato: quanta bella roba inutilizzata. E così, appena due giorni fa, ha cominciato a far sventrare le cassette del loro contenuto che, tra le altre cose, conteneva una sorta di chiusura che impediva all’acqua di fuoruscire. Ma si sa, quando si deve fare un lavoro “d’asporto” non si può andare per il sottile e… l’acqua ha invaso le strade.
Forse qualche povera pancia si sarà temporaneamente riempita, intanto tra balzelli in natura e in denaro, stavolta si è sprecata la natura. Vuoi scommettere che ce la faranno pagare? Con nuovo esborso, naturalmente.
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