Intervista a Salvatore Falzone.
di William Di Noto
La guerra civile siriana, iniziata nel 2011 e che prosegue ininterrottamente da quattro anni, conta attualmente più di duecenteoventimila vittime e migliaia di profughi, con importanti ripercussioni anche nel nostro Paese, soprattutto rispetto all’attualissimo fenomeno dell’immigrazione. In un’intervista a Salvatore Falzone, autore del libro “L’intreccio del Medio Oriente: Israele-Libano-Palestina” e studioso delle questioni mediorientali, si approfondiscono le questioni storiche del conflitto ed il ruolo degli attori internazionali della guerra civile.
Gent.mo Dott. Falzone, può descrivere l’inizio del terribile conflitto siriano?
La guerra siriana si colloca sulla scia della cosiddetta “primavera araba”. Nel 2011, nel mese di marzo, iniziavano le manifestazioni inizialmente pacifiche composte da una parte della popolazione contro il regime di Bashar Assad. Rivolte partite da diverse città alcune storicamente in opposizione al potere degli Assad: Homs e Hama, dove già negli anni ’80 il regime aveva represso i Fratelli musulmani. Da notare come la famiglia degli Assad gestisce il potere da più di quarant’anni, ovvero sin dai tempi di Hafez Assad, il quale fece in modo che alla sua morte ci fosse il passaggio di potere a favore del figlio Bashar. Inoltre la famiglia Assad è alawita, uno dei rami sciiti, minoranza nel paese, dal momento che la maggioranza è sunnita.
Molti sono convinti che in Siria ci sia una guerra mondiale! Lei è d’accordo?
Si, assolutamente! in Siria si combatte la prima guerra mondiale su scala locale. Dico mondiale perché vi sono coinvolti le massime potenze internazionali e regionali. La rivolta siriana, iniziata come un movimento di forte protesta non violento, ben presto si è indirizzata verso la militarizzazione, sia per interventi di bande straniere che per risposta del regime.
Quali sono gli attori esterni che Lei accenna?
Gli schieramenti contrapposti sono, da un lato, formati da coloro che appoggiano il regime (Iran, Russia e Hezbollah libanesi); dall’altro, coloro che agiscono per la caduta di Bashar Assad (le petromonarchie del Golfo, America e, seppur con vari distinguo, l’Unione Europea). Mentre Israele monitora la situazione e, seppur non ufficialmente dichiarato, ha una “convergenza di interessi” con vari Stati arabi sunniti. Inoltre, hanno un ruolo preponderante le due potenze regionali quali la Turchia e l’Arabia Saudita.
Può descrivere il ruolo di Turchia e Arabia Saudita?
In particolare è notevole, a livello regionale, l’interessamento dell’Arabia Saudita e della Turchia per interessi geopolitici e strategici. Il regno di Casa Saud vede nella caduta di Assad il ridimensionamento della Mezzaluna sciita, formatasi dopo l’invasione americana in Iraq del 2003, composta da Libano, Siria, Iraq e Iran, a favore del proprio prestigio di vero “baluardo e difensore del vero Islam”: insomma, il ripetersi dell’antica diatriba tra sunniti e sciiti. La Turchia, invece, vede la possibilità di una penetrazione strategica nel sud-est asiatico, in ottemperanza alla dottrina politica dell’ex ministro degli Esteri, Davutoglu. Tutto ciò ha portato alla formazione di diverse sigle di opposizione, divise tra loro in quanto non aderiscono ad una piattaforma politica comune.
Quali sono le forze di opposizione in campo?
Le maggiori sono il Consiglio nazionale siriano (di base a Istanbul, formato per la maggioranza dai Fratelli musulmani siriani), il Comitato di coordinamento nazionale per il cambiamento democratico (tendenzialmente di sinistra), il Forum democratico siriano (anch’esso di sinistra) e la Coalizione nazionale siriana (che mira a incorporare tutte le componenti di opposizione). Agiscono, inoltre, alcune componenti inserite nella lista nera del terrorismo, poiché in questo conflitto vi sono organizzazioni jihadiste. Difatti, in questo contesto così frammentato, si sono inseriti sia Al Qaeda che l’Isis, i quali combattono in Siria e, purtroppo, “governano” alcune parti del territorio in nome del “Bilad al-Sam”, ovvero il nome storico della capitale – oggi Damasco – del primo califfato islamico, nonché la terra dove un giorno avverrà il “Giorno del giudizio” con lo scontro tra le forze del bene e del male.
Le potenze internazionali come gli Stati Uniti e la Russia che ruolo hanno giocato?
Troppo divise: entrambe hanno mostrato i muscoli non tanto per fermare le violenze e per fare pressioni sui rispettivi alleati, quanto piuttosto per ribadire la propria superiorità! Tutto ciò ha portato a manovre militari russe nelle acque del Mediterraneo fino a creare basi militari a favore del regime a Latakia e Tartous, mentre l’America riforniva di aiuti militari le forze che dovevano combattere Assad. Risultato: si sono armate tutte le parti, facendo circolare bande e milizie che rispondevano a comandanti locali per arrivare a ritagliarsi una parte per gestire il potere in caso di futura spartizione o di vittoria sul nemico. Obama e Putin, anziché trovare un accordo, hanno rispolverato i vecchi schemi da “guerra fredda” e affrontarsi in una “guerra per procura”. Un altro risultato è stato la riemersione della Russia come potenza non subalterna: Putin, per molti, si è mostrato infatti come “l’uomo forte e deciso”.
E l’ONU? E la Lega Araba?
L’ONU ha provato, grazie all’ex segretario Kofi Annan, a far dialogare le fazioni coinvolte: è stato redatto un Piano di pace, ma sin da subito tutte le parti interessate lo hanno boicottato. Inoltre, anche la Lega Araba non è riuscita a mostrarsi all’altezza, troppo divisa per troppe gelosie al suo interno.
Tutto ciò è molto grave. Quali sono le sue considerazioni personali?
Il caos politico si è riversato come una mannaia sulla popolazione inerme e schiacciata da estremismi di ogni genere. Sembra che la dignità delle persone non valga nulla, come se la gente di quei territori non piangesse allo stesso modo, non soffrisse allo stesso modo, non respirasse allo stesso modo, non avesse il cuore come tutti in questa terra! In definitiva, nell’area mediorientale, ho l’impressione che i popoli non abbiano il diritto di sognare e di continuare a sperare nella pace.