Giuseppe Maurizio Piscopo
Con le sue preziosissime rime Totò Sciortino ha narrato gli aspetti più significativi della civiltà e della cultura contadina del popolo siciliano, così come ha fatto Ignazio Buttitta a Bagheria, Ignazio Russo a Sciacca, Bernardino Giuliana a San Cataldo, Mario Gori a Niscemi. E’ stato sempre un appassionato della vita della comunità, ne ha colto aspetti intimi e delicati, ricordi dolci e amari di incomparabile bellezza. In questi giorni così difficili e amari avrebbe certamente scritto una poesia per renderci migliori.
Ho conosciuto Totò Sciortino il giorno che sono nato in via Zanella. Quando ho cominciato a camminare l’ho incontrato nella sua putia di genere alimentari sotto casa, ero così piccolo che mi prese in braccio e mi riportò da mia mamma per paura che cadessi per le scale, mi raccontò un giorno. Quante discussioni abbiamo avuto sulla musica e sulla poesia che erano le nostre grandi passioni. Totò era uno che mi incoraggiava a scrivere e a comporre. Era sempre di buonumore. Tutti conoscono i titoli dei suoi libri principali “Favara, u me paisi è sempre u me paisi”; Pensu e scrivu; “Terra di Sicilia” che comprende oltre 100 liriche.
Da ragazzo componeva le canzoni e le cantava nei Festival al Cine Teatro Supercinema.
Ricordo, come fosse ieri, le ovazioni per la sua composizione “Ho scritto finalmente una canzone” inserita in un film sull’emigrazione in Germania. Totò Scortino ha lasciato a Favara e alla Sicilia perle di ricordi in rima. Ha fatto rivivere le tradizioni popolari, le feste religiose, i miracoli dei Santi, la vita dei contadini, degli zolfatari e i mestieri antichi raccontati con grande perfezione come quella dei barbieri inserita nel libro Musica dai saloni dal titolo: “Li varbera di na vota”.
Questa poesia racchiude un microcosmo di poesia e di musica legata ai piccoli gesti che avvenivano dai barbieri, quando il salone era il centro del mondo e tanta vita si svolgeva come le sequenze di un film da raccontare al grande pubblico..
Li Varbera di na vota
A tempi li varbera nu saluni
sunavanu chitarre e mandulini,
facivanu li scoppi a li pirsuni
tirannu u sangu pazzu di li rini.
Parivanu duttura a chiddru tempu
stringennu lu canuzzu tra li mani,
cissava lu duluri e lu lamentu
tirannu ganghi e denti a li viddrani.
Mmisturi priparati ogni mumentu
pi a sciatica e pi a nirbagià,
a stati avviniva u pagamentu.
Nasciva la festa ni la varbiria
e i sacchi eranu chini di frummentu,
l’addiu si dava a la malincunia.