Una vergogna tutta siciliana, solo siciliana.
Nell’aprile del 2014 esce la legge Del Rio che abolisce l’elezione a suffragio universale e diretto dei presidenti e dei consigli delle province, stabilendo che tali organi vengano eletti dai sindaci e dai consiglieri comunali.
Ebbene, in tutte le regioni italiane così oggi avviene: il presidente della provincia, affiancato dalla sua giunta, governa ed i consiglieri provinciali svolgono le loro funzioni di programmazione, indirizzo e controllo nella provincia, in cui sono stati eletti dai sindaci e dai consiglieri comunali del territorio di riferimento.
Solo in Sicilia le province non hanno un presidente, non hanno assessori e non hanno consiglieri provinciali. Perché?
Perché dal 2014 in poi i vari governi regionali succedutisi (Crocetta, Musumeci, Schifani) e le loro maggioranze hanno deciso che le province siciliane siano e restino commissariate. In attesa di una fantastica riforma. La quale-in un primo tempo- doveva basarsi sull’elezione di secondo grado (sindaci e consiglieri comunali che eleggono gli organi provinciali) e -in un secondo tempo- sull’elezione a suffragio universale e diretto (il corpo elettorale che elegge presidente e consiglieri provinciali).
Fatto sta che, dal 2014 a tutt’oggi, le province (che nella nostra Sicilia si chiamano “liberi consorzi comunali”) sono tutte e 9 rette da commissari straordinari che vengono prorogati di anno in anno o che vengono sostituiti a seconda del gradimento del ras territoriale del momento.
“Ma adesso basta” -dice la Corte Costituzionale in una sua sentenza depositata il 6 luglio. Non se ne può più. Le province devono funzionare coi loro organi e non possono essere perennemente commissariate dai governatori regionali di turno.
È contrario alla Costituzione il permanente rinvio, da parte dell’Assemblea Regionale Siciliana, delle elezioni dei presidenti e dei consigli metropolitani e dei liberi consorzi comunali, come in Sicilia si chiamano le province. Tanto che la Corte ha dichiarato illegittima la norma della legge regionale 16/2022 che prorogava al 31 agosto 2023 il termine delle gestioni commissariali nelle province siciliane.
Ma il guaio è che proprio il 21 giugno scorso l’Assemblea Regionale Siciliana ha approvato una identica leggina che prescrive l’ulteriore proroga al 31 dicembre 2024 delle gestioni commissariali. Con quali motivazioni?
Per “non creare incongrue sovrapposizioni” -si legge nella relazione- “tra l’iter approvativo del disegno di legge per l’elezione a suffragio universale e diretto e l’avvio del procedimento per l’elezione di secondo grado di organi destinati in brevissimo tempo ad essere sostituiti dai nuovi eletti a suffragio universale”.
Ma quale suffragio universale e diretto?
Quello del disegno di legge, sbandierato ai quattro venti dal governo in carica che parla di un “mutato quadro di indirizzo politico generale, rappresentato da diverse iniziative, già in corso di congiunto esame del Parlamento nazionale, tendenti a reintrodurre il suffragio universale e diretto degli organi delle province, superando l’attuale assetto istituzionale degli enti di vasta area determinato dalla legge 7 aprile 2014 n.56”?
Se non si supera effettivamente e definitivamente, da parte del Parlamento nazionale, la legge 7 aprile 2014 n. 56 (cosiddetta legge Del Rio) c’è poco da fare: non si potrà mai varare in Sicilia una legge per fare eleggere il presidente e i consiglieri provinciali direttamente dal corpo elettorale.
Ed ora c’è anche la vicenda dell’incostituzionalità, ormai “patentata”, delle continue proroghe delle gestioni commissariali. Che farà affrettare il governo regionale e l’ARS a consentire l’elezione degli organi provinciali (presidente e consiglio) con elezione di secondo grado (cioè col voto di sindaci e consiglieri comunali).
Addio, pertanto, all’elezione diretta di presidente e consiglio provinciale. Se ne riparlerà solo e quando sarà varata un’analoga legge statale che prescriverà l’elezione diretta in luogo di quella di secondo grado.