Giuseppe Maurizio Piscopo
Ho conosciuto Don Ciccio Cilona da bambino. Allora giocavo con le carte, le figurine, i bottoni e le monetine, insieme ad Antonello Bosco dietro la Madrice.
Non c’era persona a Favara che non lo conoscesse, lo chiamavano affettuosamente “Le chauffeur di la Matrici!”.
Era una persona generosa e di grande umanità, disponibile e di buone maniere, che furono le regole a cui si attenne sempre.
Le persone alle quali veniva incontro per il prezzo del trasporto erano i poveri, la gente umile, gli zolfatari, i contadini costretti a percorrere molti chilometri prima di giungere al posto di lavoro.
Del lavoro e nel lavoro non si lamentava mai e quando arrivava a casa non faceva trapelare la fatica.
I figli numerosi, ben 11, da mantenere erano la sua delizia e il suo cruccio, la vita costava troppo e i tempi erano difficili. Il lavoro se lo faceva pagare, se il cliente saliva nei luoghi prestabiliti ossia Piazza dei Vespri o da Porta di Ponte, mentre quelli che incontrava per caso lungo le Strade, o le trazzere di campagna, lontani dal paese, non li faceva pagare.
Decise allora di intraprendere una nuova attività, la prima in assoluto a Favara e forse in provincia: mettere su il noleggio di automobili.
Poco alla volta passò dalla giardinetta, alla belvedere e poi al 1100. E, in seguito, acquistò due seicento e una multipla: il parco macchine costituì una ventata di novità in un paese dove il mezzo di trasporto più comune era il cavallo, il carretto o l’asino.
Per i tempi apparve un servizio straordinario che permetteva a chi non possedeva un mezzo di trasporto di averlo, anche se a pagamento, consentendo di muoversi, di raggiungere luoghi lontani sia per motivi di lavoro che di svago. Centinaia e centinaia di persone guidarono il loro primo veicolo con le macchine di don Ciccio.
“A Don Ciccio Cilona la prima 1100 di colore blu arrivò nel 1957. Una giornata indimenticabile. Le strade e le case erano ricoperte di neve. Una vera poesia per gli occhi dei vecchi e dei bambini. Un fatto eccezionale per Favara! Un altro giorno arrivò il modello 1400 e l’auto fu portata ad Asti per allungarla. Le macchine che si affittavano si pagavano a chilometro.
Alcuni favaresi facevano il tirocinio con le macchine di Don Ciccio e certe volte succedevano delle discussioni poiché l’assicurazione non era ancora obbligatoria. Nelle macchine di piazza c’era la radio, una bella comodità per i viaggiatori che comodamente seduti potevano ascoltare come signori il comunicato del gazzettino di Sicilia, vera passione dei favaresi che desiderano essere informati prima degli altri.
Don Ciccio la mattina si alzava presto per prendere il posto in Piazza dei Vespri dove sostavano le macchine di piazza che dovevano rispettare le partenze secondo l’ordine cronologico di arrivo. Al servizio della clientela di Don Ciccio erano poste tre fiat 600 e una 1100, con autorimessa in via Mercato dei pesci. A queste vetture si aggiungeva l’ammiraglia una Fiat 1400 che sostava in piazza Matrice. I clienti erano misti buoni e cattivi, un noto professionista aveva tentato di manomettere il contachilometri, un altro aveva nascosto la parte incidentata posteggiando la seicento aderente alla parete dell’autorimessa per nascondere il danno e quindi escludere ogni responsabilità. L’economia del paese subiva miglioramenti.
Il paese si apriva alle novità del tempo, ma non era tutta rosea l’attività per Francesco Cilona. I rischi economici erano dietro l’angolo; scaturivano dai guasti che le autovetture subivano da parte di chi aveva noleggiato e causato il danno e non si poteva permettere di sostenere i costi per le riparazioni. E don Ciccio, aspettando inutilmente le somme dovute, si metteva a riparare, per quello che sapeva e per quanto poteva, i danni subiti.
Smontava e rimontava parti del motore, i semiassi o le panne di gomme spesso sotto la luce fioca della lampada comunale attaccata alla parete della chiesa Madre. Il suo banco di lavoro fu la catasta di legnami che Paolo Sajeva, lasciava nella strada. La piazza Madrice di Favara, storica città d’Arte intorno agli anni ‘50 rappresentava il mondo, un vero Teatro popolare all’aperto, nel quale i personaggi si muovevano, si incontravano, gioivano, piangevano, ridevano, partivano per le città del nord o per l’estero, alla ricerca di un mondo migliore con le loro storie di viaggiatori di provincia.
Alcuni volevano provare l’emozione della guida e si recavano da Don Ciccio e affittavano l’auto, per vivere una nuova e indimenticabile avventura.
Un giorno da Don Ciccio si presentò un tale ben vestito, con una cravatta strana a pois, arrivava da Grotte e voleva affittare un’automobile. Si esprimeva a bassa voce. Avevo perso la testa per una bella ragazza favarese, ma i genitori erano contrari a questa relazione. Prima di ogni cosa volle parlargli a quattr’occhi.
Gli disse, che l’auto gli serviva per la fuitina e che l’avrebbe presa a “pedi leggiu”, senza fare rumore, con grande discrezione, subito dopo la mezzanotte e che l’avrebbe custodita con cura, come i suoi stessi occhi per due giorni e avrebbe pagato in anticipo.
Don Ciccio l’ascoltò con attenzione, poi cercò di dissuaderlo e con sagge parole gli consigliò, di trovare un altro mezzo. Non ci fu verso, tutte le parole del mondo furono insufficienti per fargli cambiare idea! Il signor Giovanni a mezzanotte prese l’auto e in un angolo poco illuminato aspettò che la ragazza scendesse da casa con la trusciteddra. Dopo una lunga attesa, con il battito del cuore accelerato, l’innamorata non scese. Per Giovanni le cose si stavano mettendo male, i parenti della ragazza erano armati di bastoni e forconi e stavano andandogli incontro con cattive intenzioni. Giovanni fece appena in tempo a scappare con l’automobile a fari spenti nella notte.
Non essendo molto pratico della guida e dei pedali, a causa del buio, scambiò il freno con l’acceleratore e finì in un fosso dove rimase tutta la notte. L’indomani un contadino vide la seicento dentro un fosso, prima si mise a ridere, poi nel sentire le grida si preoccupò e trafelato corse a chiedere aiuto ai passanti, vide il sindaco che tornava dalla campagna e gli racconto il fatto.
Per liberarlo dovettero intervenire i pompieri che con grande fatica tirarono fuori l’auto con le corde. Il signor Giovanni potè risalire con una scala improvvisata. Quando Giovanni venne fuori impaurito e pieno di sonno, la prima cosa che confidò al maresciallo fu: “E cu ci lu cunta ora a Don Ciccio Cilona chi finivu nu burruni e ci scunzavu a machina nova? I favaresi che non mancano di fantasia fecero smorfiare i numeri e giocarono un terno al lotto: 30, 21 e 90.
Curiosità:
-A Favara racconta Lillo Di Pasquale che suo padre fu il primo a portare la prima radio. Nel 1961 organizzò una grande mostra dei prodotti della Telefunken al Cortile Copernico. Si chiamava “Piccola Fiera” a cui partecipavano i fratelli Chiapparo. Fu una novità per quel periodo, una settimana grandiosa ne parlarono tutti i giornali.
-Dai diari del barone Antonio Mendola di Carmelo Antinoro ( 23 febbraio 1905)
-“Due bellissime automobili, una a quattro, l’altra a più di 10 posti, lucide, oggi verso le 4 p. m. passano dalla piazza con molte dame straniere francesi e tedesche. Visitano il castello e ripartono subito per la strada di Girgenti Marciavano impavide e veloci, sotto un sole che duplicava gli splendori. C’erano molti camerieri e conduttori della locanda Hotel des Temples del Ragusa. La salita Madrice la fanno con velocità e forza, il popolo segnatamente i fanciulli attorniavano le due belle semoventi carrozze, quando si sono fermate in piazza”…
-“Stefano Cafisi nel 1901 fece impiantare il primo telefono a Favara con due linee telefoniche che misero in comunicazione le zolfare Lucia e la sua casa di residenza in via Arco Cafisi, in fondo alla piazza Cavour e fu il primo a portare l’automobile sempre a Favara il 3 marzo 1902 che il 5 marzo venne guidata dal genero Emanuele Graziano presso la masseria”. Ai favaresi il barone Antonio Mendola donò una biblioteca che conteneva 14000 volumi che oggi sono ridotti a 8000.
Si ringraziano, Paolo, Franco, Gerlando Cilona, Carmelo Antinoro e Salvatore Indelicato.