Giuseppe Maurizio Piscopo
Salvatore Cusimano è uno dei giornalisti più noti ed apprezzati in Italia. Un inviato speciale della Rai che ha raccontato le vicende siciliane in tutto il mondo. E’ stato responsabile del Settimanale Internazionale “Mediterraneo”, co-prodotto da Rai France 3 e Tv Svizzera italiana. Dal 2006 è il direttore della Sede regionale della Rai siciliana. Nel corso della sua brillante carriera ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti. E’ uno dei giornalisti più amati dal pubblico.
Quando e come nasce la tua passione per il giornalismo?
Era il mestiere che volevo fare. E sono fra i fortunati che possono dire di svolgere la professione che avevano desiderato fin da adolescenti. Scavando nella mia memoria non trovo altre passioni o interessi forti come questo. Forse la fotografia. Ma siamo sullo stesso campo. La voglia di raccontare. La curiosità. Sono le spinte che mi hanno portato a realizzare il mio sogno.
Sei stato corrispondente delle principali testate della Rai e in particolare del Tg1 per dieci anni. Dal tuo particolare osservatorio, quali cambiamenti sono avvenuti nella società siciliana e nella Rai in particolare in questi anni?
Ho avuto la sorte di fare il mio mestiere al massimo livello. Grazie alla borsa di studio che ho vinto all’inizio degli anni ’80 mi sono formato in Rai e ho conosciuto lì molti miei maestri che, una volta assunto, mi hanno voluto nella loro squadra. Ne ricordo due fra tutti: Guido Leoni a Torino e soprattutto Roberto Morrione, capocronista al Tg1. La Sicilia di cui mi occupavo era devastata dalla mafia e dalla collusione fra i clan e la politica. Non era facile scrivere di questi argomenti in un’azienda che subiva fortissima la pressione della politica. Ma la professionalità dei responsabili dell’informazione (ricordo in particolare i direttori Nuccio Fava e Nino Rizzo Nervo) ti faceva da scudo:ti proteggeva. Mi davano spazi e sostegno. Non sempre era facile. Spesso i miei servizi scatenavano reazioni e polemiche. Ricevevo accuse (essere un professionista dell’antimafia) che condividevo con investigatori e magistrati. Ma mi soccorrevano sempre l’insegnamento di mio padre: “chi ha spalle grandi deve sopportare pesi maggiori” e quello di Roberto Morrione:” fai quel che devi accada quel che può. La Rai siciliana era piena di professionisti di valore. Alcuni facevano funzionare la macchina redazionale, erano preziosi anche se meno conosciuti; altri ,invece, erano molto noti, perché, come me, si occupavano dei fatti più gravi della nostra terra e andavano in onda quotidianamente sui tg e i Gr nazionali. Complessivamente era una redazione impegnata. Che non arretrava di un metro sui temi della legalità, dell’informazione e della funzione del servizio pubblico. Ci si poteva dividere su tutto, ma davanti al lavoro o alle emergenze si tornava un solo corpo.
Sei stato inviato speciale, hai seguito fatti di cronaca nera e giudiziaria negli anni della “mattanza” di Palermo. Che ricordo hai di quegli anni?
Ricordo la fatica, la preoccupazione, talvolta l’ansia di spiegare bene quanto accadeva. Facevo uno sforzo enorme per non fermarmi alla prima interpretazione delle cose. Cercavo di scavare. Di trovare connessioni. Mi aiutavano tante fonti. Tra queste anche magistrati come Falcone e Borsellino che con chiarezza facevano comprendere a me e agli altri colleghi se alcune ipotesi erano campate in aria oppure avessero un fondamento. Ricordo il” mio” primo omicidio, un giovanottone massacrato dentro una Ferrari, in una giornata caldissima. Le mosche che ronzavano intorno al corpo. I curiosi. I familiari afflitti ma anche rassegnati. E dopo di lui decine e decine, centinaia di cadaveri. Sono laureato in filosofia con una tesi di morale. Ho studiato per quattro anni psicologia. Mi chiedevo sempre quanto queste immagini devastanti potessero influenzare la mia vita. In che modo potessi metabolizzare tutta questa violenza. Ho capito piano piano che svolgevo un compito civile. Che lavoravo per gli altri. Per la comunità. E questo ha dato un senso anche a tutto il male che inevitabilmente mi ha attraversato fino a quello, più terribile di tutti, visto a Capaci e in via d’Amelio.
Che cosa hai provato come uomo e come giornalista nel dare per primo agli italiani la notizia della strage di Capaci. Come hai vissuto quella “crudele” giornata?
Sono state due giornate terribili. Non solo c’era l’emergenza della cronaca. Le mille richieste delle testate giornalistiche della Rai da soddisfare, ma c’era anche l’urgenza di non tralasciare nulla, di cercare una spiegazione efficace per quello che era accaduto L’attenzione di tutto il mondo era sulla Sicilia.Non solo ovviamente sui media e sui tg quanto sulla comunità che finalmente aveva trovato il coraggio, dopo gli eccidi, di ribellarsi ai mafiosi e ai loro complici e agli impavidi che per anni erano rimasti a guardare. Sentivo, come gli altri miei colleghi, la responsabilità di dare una visione complessiva. Di mostrare tutte le facce della medaglia. E allo stesso tempo c’era la dimensione umana. Falcone lo frequentavo tantissimo. Lo andavo a trovare spesso di pomeriggio nel suo bunker. Facevamo quattro chiacchiere. Era ironico, divertente ma sempre con un velo di tristezza. Andava al punto. Mi chiedeva cosa volessi sapere. Non valicava mai il rigoroso riserbo del magistrato ma se avevo notizie, mi aiutava a capire se fossero “polpette avvelenate” distribuite da uomini dello stato” infedeli” o fossero strade utili. Era una stagione di veleni, di “corvi” di lettere anonime, di accuse inaudite. Non era facile districarsi. Il rischio di fare, in modo inconsapevole, il gioco di “qualcuno” era altissimo. Qualche volta Falcone non era contento dei servizi che realizzavo. Ma mi rispettava. Sapeva che ero sempre in buona fede e che ognuno giocava una partita nel proprio campionato e quello dei giornalisti e dei giudici non sempre è lo stesso. Per fortuna aggiungo. Tornando a quei giorni, continuo, ancora oggi, a meravigliarmi della freddezza che ho mantenuto nell’immediatezza dei fatti. Parlavo delle vittime della più efferata strage di mafia ma allo stesso tempo si trattava anche di ottime persone, alle quali ero affezionato. Non oso dire che fossimo amici (troppi si sono spacciati per amici di Falcone e Borsellino dopo la loro morte, e tra questi anche tantissimi che li avevano avversati in ogni modo e con le peggiori insinuazioni e accuse). Ma Falcone come Borsellino erano fra le persone che più contavano per me sul piano professionale e civile. Alla camera ardente sono andato con mia moglie e sono crollato per l’emozione. Quella corazza che per due giorni mi aveva sostenuto era venuta meno davanti alle bare. Poi ho detto a me stesso che il modo migliore di onorarli era quello di fare il mio lavoro con coscienza e la necessaria durezza. Di andare avanti secondo l’insegnamento del mio amico e maestro Roberto.
Nel presentare il documentario “Nella terra degli infedeli” che tutti abbiamo apprezzato su Raitre, il 23 Maggio, hai posto una domanda importante agli italiani:-Cosa resta dell’insegnamento di quei magistrati che hanno sacrificato la loro vita per lottare contro il male peggiore della Sicilia?
Resta un patrimonio legislativo che non ha uguali in tutto il mondo. Strumenti che consentono, se ben utilizzati e implementati, di neutralizzare il fenomeno mafioso. Oggi, nessuno, in Sicilia e nel resto del paese e del mondo, può negare l’esistenza della mafia o può sottovalutarne il pericolo. Anche i più scettici hanno dovuto arrendersi di fronte all’entità del “PIL criminale” e all’interferenza continua del mafie sullo sviluppo economico e civile del paese. “E’ questo è merito del lavoro di denuncia fatto dai magistrati siciliani, a cominciare dall’instancabile Rocco Chinnici, fino a Nino Caponnetto.Ma ci vuole anche la volontà politica: servono non solo leggi, ma anche investigatori e magistrati ben formati, risorse per le indagini. Servono investimenti. Registro di continuo le preoccupazioni dei poliziotti che sono senza benzina o auto efficienti, che devono rinunciare allo straordinario nonostante l’imponente lavoro di appostamento e ricerche per assicurare alla giustizia pericolosi latitanti. La vittoria dello stato sulla criminalità è una battaglia che non si può perdere. E’ in gioco il futuro soprattutto delle nuove generazioni. Ho realizzato il documentario per fare memoria. Per impedire che le nuove generazioni restino all’oscuro del ruolo che hanno avuto magistrati e investigatori che hanno sacrificato la loro vita pur di affermare la giustizia e la legalità. Spero che la scuola superiore e l’università possano utilizzarlo come strumento di conoscenza e approfondimento della nostra storia recente. Già lo fanno i nuovi magistrati nei loro corsi di formazione alla Scuola Superiore della magistratura di Scandicci. E già questo mi ripaga di tanti anni d’impegno.
Se un bambino di 6 anni, di prima elementare ti dovesse porre questa domanda:- Che cos’è la mafia, come risponderesti?
La mafia è costituita da un gruppo di uomini cattivi, di bulli, che cercano di ottenere con la violenza quello che non gli tocca, per il quale non hanno sudato e lavorato, né studiato. Che arrivano fino a uccidere pur di guadagnare tanto violando le regole di una comunità. Che sono tanto più pericolosi perché hanno la complicità dei politici, ma anche dei professionisti, avvocati, medici, ingegneri che li aiutano in questi loro affari loschi. Penso che con frasi semplici e qualche esempio si potrebbe far capire ai bambini che è un male dal quale stare lontani e contro cui combattere. Spiegherei anche che ci sono dei cavalieri coraggiosi che hanno combattuto con onore per vincere i maligni e che, nonostante abbiano perso la vita, sono riusciti a tracciare una via per renderci tutti più liberi.
I siciliani sono legatissimi alla Rai da sempre. Ricordo, i contadini, gli zolfatari, i braccianti nei paesi più sperduti della Sicilia iniziavano la loro giornata con le notizie del Gazzettino di Sicilia alla Radio. Lavoravano in campagna e ascoltavano… i giovani non ricordano la splendida voce di Nina Nicosia, i programmi cult della Radio “Il Calabrone”, “Il Ficodindia” con Turi Ferro. La Rai è la storia di tutti i siciliani?
Lo è stata e lo è ancora. Si possono non condividere alcune scelte o alcuni programmi. Ma nel complesso la rappresentazione generale che appare dalla tv e dalla radio cerca di avvicinarsi il più possibile alla realtà. E ci sono programmi come Report su Raitre o come Petrolio su Raiuno, o Linea diretta ancora su Raitre ,di grande valore. Come l’offerta dei canali tematici (Rai5 e Rai Storia) o anche molte trasmissioni di Radio Tre (penso a Fahrenheit o a Pagina Tre o a Prima Pagina fra i tanti). La Rai è la più grande azienda culturale del paese. Produce film che ottengono prestigiosi riconoscimenti, realizza migliaia di ore di informazione e di programmazione. Giudicarne un piccolo segmento è un’operazione fatta in cattiva fede. Quello italiano è il canone più basso d’Europa a fronte di un’offerta che è tra le più ampie del vecchio continente. Tutti siamo allenatori di calcio in Italia e anche direttori di telegiornali. Ognuno immagina di saper fare meglio degli altri. Ma il lavoro è difficile e complesso. Rai è sempre stata e resta leader degli ascolti, un grande specchio della realtà nazionale. Le sue teche costituiscono un prezioso scrigno della memoria e dell’identità collettiva. Chi vorrà ricostruire la storia del nostro paese e della nostra regione oggi e domani non potrà fare a meno di consultare le immagini che migliaia di tele cineoperatori hanno girato e i servizi che altrettante migliaia di giornalisti hanno realizzato in questi decenni per la Rai.
A questo proposito è uscito uno splendido libro-storico curato da te e Gian Mauro Costa dal titolo: “L’isola in onda” che racchiude la storia della Rai in Sicilia partendo dalla liberazione fino ai nuovi orizzonti mediterranei, quando la Rai era in Piazza Bellini nel 1931 e venivano trasmessi messaggi in codice per i partigiani del tipo: “Le ciliegie sono mature” …Che mi puoi dire sul libro e sul dvd che ha selezionato i momenti culturali di “spessore” vissuti dalla Rai siciliana?
Il primo impegno assunto al momento della nomina a direttore della sede siciliana è stato quello di salvaguardare la memoria dell’azienda. Il libro che citavi e il portale “www.siciliainonda.rai.it” sono due passaggi fondamentali di questo lavoro che si concluderà non appena potremo completare la digitalizzazione di tutti i materiali di archivio (qualcosa come trentamila e passa cassette di vario formato). Già tutti i programmi televisivi della ex Struttura di programmazione, alla quale tu hai collaborato, sono stati salvati. Sono in formato digitale e disponibili per tutti i visitatori del portale che ho indicato. Altri materiali sono andati persi nei traslochi di sede. E’ una ferita aperta. Di tanto in tanto un nostro lettore ci contatta e ci porta una vecchia registrazione di un programma. Noi l’acquisiamo e lo aggiungiamo al nostro patrimonio.
Ci siamo conosciuti alla Rai di Via Cerda. Un grande laboratorio culturale, un passaggio obbligato per politici, Scrittori, Musicisti, Registi, Attori e per gli uomini di Cultura. Che ricordo hai della sede di via Cerda, una strada piccolissima dalla quale è partita tanta storia e tante notizie anche “amare”?
In via Cerda sono arrivato all’inizio degli anni ’80. Era una piccola Rai. C’erano giornalisti ma anche attori, registi, cantanti. Un mondo variegato, espressione, la più ampia, di un mondo, fra informazione e intrattenimento, rappresentativo della Sicilia. Alcuni dei protagonisti dei programmi dell’epoca sono diventati personaggi di primo piano della scena nazionale e internazionale del cinema o dello spettacolo. Un nome per tutti Giuseppe “Peppuccio “Tornatore che lavorò in via Cerda come regista e firmò alcuni documentari proprio per la nostra sede. Poi Michele Guardì che da decenni inchioda alcuni milioni di persone alla sua trasmissione “I fatti vostri”. E tanti e tanti altri nomi. Non voglio fare elenchi perché rischierei sicuramente di dimenticarne tanti .
Qual è l’intervista più bella che ricordi e qual è quella che non avresti mai voluto trasmettere?
Ho fatto tante interviste. Spesso per uno come me, cronista di nera e giudiziaria, si trattava di colloqui interessanti che magari non si possono definire “belle interviste”. Ricordo quelle con Michele Greco il “papa” della mafia, un’esclusiva ripresa da tutti i quotidiani italiani e stranieri oppure quella con il pentito libanese Bou Chebel Ghassan che aveva anticipato l’attentato al consigliere istruttore Rocco Chinnici. Ricordo una ragazza che portava sul proprio corpo i segni devastanti dell’esplosione in via d’Amelio. Aveva il viso pieno di schegge di vetro che la deflagrazione aveva scaraventato su di lei. Questa forse è quella che non avrei mai voluto fare come tante altre realizzate con familiari delle vittime di stragi o di morti violente che mi procuravano un dolore sordo, un sapore amaro del quale spesso non riuscivo a liberarmi per giorni.
Qual è il futuro dei giornali, chiuderanno tutti? Li leggeremo solo online?
Li leggeremo online. Vedremo i tg on demand, quando vorremo, sui nostri tablet o smartphone. Continuerà ad esserci il classico appuntamento con il tg delle 19 o delle 20. Ma ci costruiremo sempre più un palinsesto personalizzato. Le dirette saranno più semplici. Basta uno zainetto oggi per potersi collegare dalla zona più remota. E la tecnologia semplificherà ulteriormente i collegamenti. Ci vorrà, voglio sperare, sempre un giornalista che andrà a vedere, a scavare, a raccontare. Altrimenti ci consegneremo a dei robot che selezioneranno immagini da tutto il mondo, intercetteranno notizie, le aggregheranno e le scaricheranno sul nostro pc senza nessuna mediazione giornalistica. Non è fantascienza. Esistono già siti che lo fanno. Di certo, i nuovi mezzi di comunicazione consentono a tutti noi di diventare giornalisti, testimoni e narratori: è quel “citizen journalism” che viene esaltato, spesso a sproposito. Ma le inchieste, l’approfondimento, l’esclusiva, sono e saranno riservati sempre a un giornalista capace, in linea con i suoi tempi dal punto di vista tecnologico, ma con un animo antico, attento alle persone e curioso come mai saranno i migliori robot che faranno la loro comparsa sulla scena dei media di nuova generazione.
Come sarà la tv fra dieci anni?
Come dicevo sarà una tv personalizzata. Totalmente digitale. Diffusa per apparecchiature portatili, sempre più in presa diretta con i fatti che accadono, quindi più frenetica e ansiogena. Allo stesso tempo ci sarà tanta di quella concorrenza che sarà difficile nascondere i fatti, come purtroppo è accaduto non raramente nel passato. La Rai in questi mesi è impegnata nel traghettamento verso la Media Company proprio per rispondere a questa domanda forte che viene dai consumatori digitali. E’ una svolta che personalmente mi entusiasma. Chi mi conosce sa quanta attenzione abbia sempre posto alla tecnologia che, se ben governata, ci consente di vivere e di lavorare meglio e di raggiungere una straordinaria quantità di persone anche fra quelle fasce d’età che restano lontane per abitudine o scelta dai tradizionali mezzi di informazione. Bisognerà non solo distribuire diversamente, ma produrre diversamente. Non si può fare l’errore in cui sono incorsi i giornali che hanno ritardato la svolta digitale o si sono limitati a trasferire i contenuti e gli articoli del quotidiano cartaceo alla piattaforma digitale. Lo strumento “il medium” determina anche il contenuto. Mi auguro di essere co-protagonista di questa nuova avventura aziendale.
Nel corso della tua carriera hai ricevuto premi e riconoscimenti prestigiosi dalla “Fondazione Gaetano Costa”, nel 1997 il premio indetto dall’Associazione Europea delle Tv mediterranee per il documentario” Le sofferenze di Istanbul”. Sei soddisfatto del tuo lavoro?
Sono molto soddisfatto. Ho raggiunto posizioni di prestigio. Sono stato in un osservatorio che mi ha aiutato a comprendere meglio la realtà in cui vivo. Ho avuto momenti amari. Come tutti. Incomprensioni, accuse infondate. Decine di contestazioni di violazioni del segreto istruttorio. Ma ne sono uscito sempre con la testa alta. Ho ottenuto riconoscimenti prestigiosi. Ora sono dirigente. Anzi lo sono da 16 anni. Mi auguro di poter tornare per gli ultimi anni che mi restano di lavoro al giornalismo e concludere dove ho iniziato: in una redazione giornalistica.
Tra i meriti veramente nobili bisogna riconoscerti due cose che sono sotto gli occhi di tutti: quello di aver digitalizzato i programmi e avere aperto l’Auditorium della Rai al territorio con esperienze straordinarie di spettacoli, incontri, dibattiti e presentazioni…
Anche l’Auditorium fa servizio pubblico. Offre opportunità agli scrittori e ai musicisti di farsi conoscere, alimenta il dibattito culturale e sociale. E’ diventato un centro culturale di primo piano per la città di Palermo, molto ambito. Speriamo di poter continuare su questa strada.
Avrei voluto chiederti ancora tante cose. Ma mi fermo qui e ti pongo l’ultima domanda: quali sono i tuoi progetti per il futuro?
L’ho accennato. Migliorare ancora di più l’offerta dell’Auditorium, realizzare altri programmi, per il momento, radiofonici, che si sommano a tre già avviati (Mediterradio, MusicaMed e Isola Bella). Lo sottolineo, il ritorno dei programmi a Rai Sicilia è stata una vera rivoluzione. Dal 1993 erano scomparsi dalla sede regionale. Con pazienza e impegnandomi in prima persona nella redazione, la conduzione e il coordinamento, sono arrivato lì dove tanti altri miei colleghi, direttori compresi, non hanno mai osato spingersi. Spero che questi precedenti servano a convincere l’azienda e le istituzioni locali che Rai Sicilia, come dimostra la sua storia, è stata una straordinaria palestra di talenti e che ancora oggi può esserlo con investimenti minimi. Spero che qualcuno ci ascolti. Finora ho trovato tanti elogi ma poca concretezza. Chi mi conosce tuttavia sa che non mi arrendo. Ogni giorno, dopo un buon caffè, riprendo la mia strada con l’entusiasmo del 1981 quando ho vinto la borsa di studio alla Rai per nuovi giornalisti e ho cominciato questa straordinaria avventura che continua ancora oggi ad esaltarmi.