Pino Sciumè
Leonardo Sciascia è annoverato tra i più grandi scrittori del Novecento. Secondo, forse, al solo Pirandello. Nel 1961 pubblicò l’opera che lo avrebbe definitivamente consacrato tra i grandi della narrativa moderna “Il giorno della civetta” primo vero romanzo sulla mafia vista nella sua reale dimensione: malavitosa alternativa concreta allo Stato di Diritto. Un argomento tabù per quei tempi. Lo stesso Sciascia dichiarerà di essersi avvalso della consulenza di diversi avvocati prima di far stampare l’opera dall’editore Einaudi.
Di uno scrittore che diventa personaggio e simbolo di fama internazionale tutto diventa importante, le sue origini, la giovinezza, l’appartenenza politica (fu eletto al parlamento nazionale ed a quello europeo, consigliere comunale a Palermo). Nasce a Racalmuto nel 1921. All’età di vent’anni consegue il diploma di maestro elementare e nello stesso 1941 trova un impiego al Consorzio Agrario del suo paese come addetto all’ammasso del grano. Tenta l’avventura universitaria presso la facoltà di Magistero all’Università di Messina, ma è un’esperienza che presto abbandona. Nel luglio del 1944, a soli 23 anni, si sposa quasi clandestinamente a Caltanissetta con una collega di un anno meno di lui, Maria Andronico, maestra di scuola elementare a Racalmuto, che frequentava la sua famiglia essendo amica delle zie, anch’esse maestre.
Perché quella fretta? Cosa l’ha spinto a quella decisione? Chi era Maria Andronico, da dove veniva? Noi lo abbiamo saputo e siamo lieti di far conoscere questa porzione di storia di un allora sconosciuto Leonardo Sciascia, colui che sarebbe diventato un celebre scrittore, ricercato dai migliori circoli letterari, corteggiato da giornali come il Corriere e la Stampa. Ebbene, Maria Andronico abitava con la sua famiglia a Favara, al secondo piano di una grande casa di tipo nobiliare sita in Via Umberto al civico 167, appartenuta a Felice Bernardo, primo sindaco della città dopo l’Unità d’Italia, passata ai suoi discendenti Bellavia e Piscopo-Lanza.
In un articolo apparso sul Corriere della Sera dell’8 Gennaio 2009, in occasione della morte di Maria Andronico, Matteo Collura, biografo ufficiale di Sciascia, scrive: “…in una Caltanissetta stremata dalla guerra…Un matrimonio celebrato in una chiesa spoglia e alla presenza dei soli testimoni. Già questo, per lei, fu un adattarsi alla volontà del suo uomo, il quale, presa la decisione di sposarsi, nonostante avesse una relazione più o meno nota con un’altra ragazza (anche lei maestra di Favara), volle mettere se stesso e i suoi familiari di fronte al fatto compiuto. Si erano conosciuti in casa dello scrittore, dove Maria Andronico si recava per incontrare le zie di Leonardo Sciascia, due delle quali maestre”.
Ma torniamo alla moglie di Sciascia. Nel 1940 il Maresciallo Salvatore Andronico, originario di Ramacca in provincia di Catania, fu trasferito da Petralia Soprana a Favara per prendere il comando della locale Stazione Carabinieri, allora ubicata in via Pirandello. Trovò l’occasione di prendere in affitto una casa accogliente e signorile, quella appunto di via Umberto, al secondo piano, avendo la famiglia Piscopo tenuto per sé il primo piano. Il Maresciallo Andronico poté così trasferire la sua famiglia composta dalla moglie, dalle figlie Maria e Anna e dal figlio minore Vincenzo, detto Enzo, nati tutti a Petralia. La figlia Maria, avendo preso il diploma Magistrale, cominciò ad insegnare a Racalmuto, dove si recava in compagnia di una collega, già fidanzata con Sciascia.
Il futuro scrittore, conosciuta Maria Andronico, se ne innamorò e nel maggio 1944 la mise incinta. Accortisi dell’accaduto, Sciascia chiese al Maresciallo di fidanzarsi ufficialmente con la figlia. Avutone il consenso, l’allora giovane “Nanà” andava a trovare la fidanzata quasi tutti i pomeriggi nella sua casa di via Umberto a Favara. Ben presto però la mamma e la sorella minore Anna si accorsero dello stato di gravidanza di Maria.
La famiglia Andronico affrontò con grave disappunto l’incresciosa situazione tanto che, dopo un paio di mesi, la “focosa” moglie del Maresciallo impose a Sciascia le nozze riparatrici. Fu così, come sopra ricordato da Matteo Collura, che nel luglio 1944, Maria acconsentì al desiderio-ordine del risentito fidanzato di recarsi a Caltanissetta per contrarre matrimonio in una chiesa alla presenza di un prete e dei soli testimoni. La loro prima figlia, Laura, nascerà nel gennaio 1945. Dopo poco tempo i rapporti però tornarono normali.
Il Maresciallo Andronico, a seguito di un incidente, ottenne, attorno al 1943, il permesso di lasciare l’Arma in cambio di un impiego presso il Comune di Favara all’Ufficio Annonario. La notizia ci è stata confermata dal Signor Martino Castellana, venuto a mancare ultranovantenne pochi mesi fa, persona di grande dirittura morale e molto noto in paese, che proprio nello stesso periodo, tornato dal fronte di guerra, divenne collega d’ufficio dell’ex maresciallo, con cui lavorò per circa sette anni, fino a quando gli Andronico, nel 1950, tornarono definitivamente a Ramacca.
Nel novembre del 1945 è nato in questa casa Francesco Lanza, ultimo discendente della famiglia Bennardo-Bellavia-Piscopo-Lanza. Francesco (Cesco per gli amici, funzionario in pensione dell’Ufficio Provinciale del Lavoro di Agrigento). Figlio di Angelina Piscopo e del Dr. Filippo Lanza, primo Collocatore di Favara e successivamente Direttore Generale dell’Intendenza di Finanza di Firenze, ricorda ancora la famiglia Andronico, ad eccezione di Maria che andò ad abitare a Racalmuto. Sua madre Angelina gli raccontava spesso di quei tre mesi in cui Sciascia saliva i gradini della loro casa. Molto spesso, il futuro scrittore scendeva al primo piano per chiedere al nonno di Cesco, Felice Piscopo, di poter leggere i libri, ancora conservati in due bellissime librerie in legno appartenute al suo antenato e sindaco Felice Bernardo. Leonardo Sciascia chiedeva una sola cortesia: potersi sedere accanto al balcone che lui apriva per far uscire il fumo dell’immancabile sigaretta quasi sempre appiccicata sulle sue labbra.
Questa storia l’abbiamo accennata alla Sindaca Anna Alba, chiedendole un parere sull’opportunità di ricordare quei fatti che hanno intrecciato Favara con uno dei più grandi scrittori contemporanei, mediante una cerimonia patrocinata dal Comune e la posa di una targa accanto alla porta d’ingresso di via Umberto. La risposta, ovviamente, è affermativa.