“Le investigazioni dei carabinieri del Noe hanno permesso di disvelare la mancata o insufficiente depurazione delle acque e una truffa nelle tariffe imposte ai consumatori e agli enti pubblici . È noto perché abbiamo fatto 13 sequestri di impianti di depurazione che gli indagati non hanno efficacemente depurato le acque e invece in bolletta figurava il costo della depurazione. Molte associazioni di consumatori hanno protestato e abbiamo lavorato anche in tal senso. Alla truffa in danno dei consumatori si è aggiunto dunque un danno ambientale che stiamo tentato di quantificare. La mancata depurazione, con il riversaggio nelle acque sotterranee e costiere, crea un gravissimo danno”. Queste le parole del Procuratore capo Patronaggio.
Ora basta e avanza scorrere la cronaca sul servizio idrico agrigentino per leggere centinaia di denunce delle associazioni in difesa dell’acqua pubblica e dei consumatori alle quali fa riferimento il Procuratore Patronaggio e che poco hanno prodotto in termini di allarme verso la politica quella che doveva controllore e anche di buona parte dell’altra in generale. A volte si aveva la netta impressione di assistere ad un gioco perverso fondato sul perdere tempo e sullo giustificare anche l’ingiustificabile.
Ciò che è accaduto è stato possibile solo perché chi doveva controllare non lo ha fatto.
“Anche nel settore della depurazione abbiamo rilevato – ha aggiunto Patronaggio – compiacenze negli organi preposti ai controlli, per cui una capacità di corrompere e condizionare tutti gli organismi di controllo”.
Per la Procura di Agrigento esisteva “una fitta rete di lobbying, una impressionante capacità di penetrare all’interno degli organismi di controllo a vari livelli”. Ma anche che “l’omissione della dovuta attività di depurazione delle acque ha creato un danno ambientale da quantificare, l’illecito addebito agli utenti dei relativi costi non sostenuti”.
Ai danni ambientali proviamo ad immaginare gli enormi danni economici di una provincia vocata dalla generosa natura al turismo e che ancora oggi ha il suo mare inquinato. Siamo poveri in mezzo a tantissima ricchezza sporcata da alcuni scellerati, che noi in nome della democrazia abbiamo scelto per amministrare il nostro territorio.
“Da un lato, abbiamo i “signori” dell’acqua che con un’azione criminale, affiancata da una mala gestione, creano un danno erariale, un danno che principalmente è a carico dei cittadini che non hanno acqua potabile, che non hanno acqua depurata, che subiscono un danno alla salute e all’ambiente”, ha spiegato nel corso della conferenza stampa il colonnello Vittorio Stingo, comandante provinciale dei carabinieri di Agrigento.
“Il sistema della depurazione delle acque è un sistema particolarmente delicato, è un servizio pubblico che in determinate circostanze viene bypassato – ha spiegato il tenente colonnello Pasquale Storace, comandante del gruppo carabinieri tutela ambientale di Napoli- . Molto raramente ci si avventura in indagini sulla depurazione delle acque, se non ci fosse stato il reato di inquinamento ambientale, da poco esistente, gli scarichi idrici inquinanti provenienti dai depuratori sono delle contravvenzioni. Presi singolarmente ci troviamo quindi davanti a singole contravvenzioni, in questo caso, poiché la mala gestione riguardava non un singolo impianto ma tutti gli impianti esistenti e i carichi di inquinanti, è stato possibile arrivare a questo quadro sconcertante”.
“Dietro c’è sempre il guadagno economico. Risparmiare i costi di depurazione è una consuetudine ed è fondata – ha spiegato il tenente colonnello Spataro -. Meno depuro, meno produco fanghi, meno smaltisco i fanghi, meno costi di gestione e di energia elettrica nel funzionamento del depuratore. Più depuro e più produco fanghi che sono un rifiuto. Una tonnellata di fango per smaltirla necessita di 120 euro. Immaginate un depuratore che è a servizio di collettività di un certo numero, quanto fango dovrebbe produrre. Un depuratore che funziona correttamente deve necessariamente sostenere costi di smaltimento. Due, dunque, le linee per risparmiare: o questi fanghi non vengono prodotti, evitando la depurazione. Oppure, se depuri e produci fanghi, lo smaltimento dei fanghi poi può seguire strade alternative: vengono buttati in mezzo ai campi come compost per l’agricoltura – ha detto, in generale e a livello nazionale, il tenente colonnello – nonostante siano carichi di inquinanti. In questo caso, la procedura è stata la più semplice: si ometteva totalmente la depurazione e ciò che confluiva nei corsi d’acqua era il refluo fognario tale e quale”.
L’operazione “Waterloo”, che ha visto il fermo di 8 manager della Girgenti Acque e della Hidortecne, svela un sistema che ha impiegato 4 anni di indagini da parte della Procura di Agrigento e un lavoro immane del procuratore aggiunto Salvatore Vella. E non dovrebbe leggersi semplicemente come un fatto di cronaca perché raccontano un sistema che la popolazione dovrebbe smontare definitivamente assieme alla Magistratura, ché non basta solo indignarsi.
Marco Campione, a questo punto dovrebbe essere chiaro a tutti, ha costruito un sistema che non esclude la complicità e la compiacenza del controllore. Un sistema che aveva il perno nella mancata o insufficiente depurazione della acque reflue ma che consentiva anche di spalmare il costo sulle bollette recapitate agli utenti agrigentini.
Questo è accaduto nell’azienda più importante della provincia agrigentina con un fatturato di centinaia di milioni all’anno e a svelare e a raccontarci i fatti è la Magistratura e prima ancora la Prefettura di Agrigento con l’interdittiva a Campione e il commissariamento della sua azienda. L’intervento di una parte dello Stato ferma il disastro e punisce i colpevoli, mentre se avessimo aspettato l’altra parte dello Stato, quello che gli agrigentini si scelgono utilizzando la democrazia, molto probabilmente, Marco Campione sarebbe ancora in sella di Girgenti acque.