L’Associazione “Diabete uno” ha nei giorni scorsi abbellito l’arredo urbano di Piazza Don Giustino richiamando l’attenzione dei cittadini per l’opera di volontariato e oggi ha chiuso il programma chiamando nel luogo pubblico medici specialisti e le famiglie con i loro bambini che soffrono di diabete uno per parlare, informare e informarsi sulla particolare patologia.
Interessanti e preziosi gli interventi del dottore Giuseppe Gramaglia e delle dottoresse Piera Buscarino e Catia Camilleri. L’assessore Angelo Airò Farulla ha portato il saluto ai partecipanti dell’amministrazione comunale.
A ricevere i partecipanti e a rendere possibile l’evento è stata Patrizia Russello che non ha tralasciato nessun dettaglio e non si è risparmiata nulla, assieme alle altre volontarie, per la buona riuscita dell’incontro.
Fino a qualche anno per le famiglie agrigentine con bambini che soffrivano della particolare patologia si aprivano le porte dei viaggi della speranza in strutture ospedaliere fuori dalla provincia, adesso per fortuna non è più così.
“Agrigento- ci dice il dottore Giuseppe Gramaglia- non aveva la diabetologia pediatrica e questi bambini diabetici ricorrevano all’ospedale del Bambino di Palermo o in altri centri dell’Isola e fuori la Sicilia . Diciamo che era una situazione incontrollabile e partendo da questa situazione abbiamo fatto passi da gigante. Oggi ad Agrigento si trova un valido punto di riferimento e si sono ridotti notevolmente i cosiddetti viaggi della speranza. Il nostro laboratorio riceve due volte alla settimana il mercoledì e giovedì dalle 15:00”.
Nella nostra provincia quanti sono i nuovi casi ogni anno?
“Abbiamo l’esordio mediamente di 11 casi l’anno – risponde il dottore Gramaglia- mentre sono 90 i bambini che vengono seguiti dal nostro ambulatorio. Aggiungo che seguiamo i pazienti fino all’età di 18 anni”.
Molte sono state le domande che le mamme hanno rivolto ai medici specialisti nell’incontro di oggi. Un momento informativo e anche una grande occasione di crescita culturale in un territorio, nel quale fino a poco tempo fa, non era facile e neppure immaginabile condividere pubblicamente il problema comune di una malattia.