San Valentino, voglio raccontarvi una storia d’amore che già qualche anno fa ho pubblicato sul quotidiano de “La Sicilia”.
Inizio dall’epilogo così come è stata proprio la conclusione della vicenda ad incuriosirmi e a spingermi a metterne insieme i tasselli.
A Favara è stato visto, tanti anni fa e non con poco stupore, un corteo funebre snodarsi lungo una stradella di aperta campagna, precisamente, in contrada Fontana degli Angeli. Le automobili in coda e il carro funebre entrarono nel giardino di un antico palazzo per uscirne dopo poco tempo e continuare il percorso verso il Cimitero di Piana Traversa. Dicevo, la singolare vicenda mi incuriosì e l’ho ricostruita al meglio.
La nostra storia d’amore si inizia nei primi anni del secolo scorso. La fame e la povertà non davano pace e, molto spesso, le famiglie in difficoltà “addruvavanu” i figli adolescenti ai ricchi proprietari terrieri per ricevere in contropartita una quantità di grano all’anno concordata all’atto di “addruvari”. Il padrone assicurava, inoltre, il cibo al ragazzo, di solito, un tozzo di pane, poche olive, minestre che quasi mai saziavano. La parola addruvatu, a chi può sfuggirne il significato, nella lingua italiana si traduce in “affittato”. E già questo la dice lunga sul terribile stato dell’addruvatu con un’esistenza di quasi schiavo a disposizione sempre del padrone.
Il protagonista della nostra storia d’amore era addruvato presso i ricchi padroni del palazzo di campagna di contrada Fontana degli Angeli. Lavorava e sognava l’America dove, aveva saputo, che si mangiava tre volte al giorno e il sabato e la domenica non si lavorava. Un vero e proprio sogno per i siciliani dei primi anni del 1900.
Riuscì il ragazzo ad imbarcarsi per New York e nello stesso periodo una sua coetanea di Ribera parti alla volta del Canada.
Il destino volle farli incontrare. Si innamorarono follemente e si sposarono subito. Bello lui, bellissima lei si accarezzavano anche con gli occhi. Oltreoceano costruirono una fortuna economica, ma dal matrimonio non ebbero figli.
Ricchi, vollero acquistare il palazzo di campagna di contrada Fontana degli Angeli a Favara. E tornò da proprietario in quel palazzo e in quella campagna che lasciò da addruvatu.
Tutti gli anni la coppia trascorreva parte della primavera e l’estate nel loro palazzo di campagna, l’altra parte dell’anno a New York. Nel giardino di Fontana degli angeli, la donna curò un roseto al quale era molto legata.
Arrivò la vecchiaia e il triste giorno del decesso del marito, che in vita raccomandò alla moglie di essere seppellito a Favara. E così fu.
La signora tornò tutti gli anni seppure ormai sola nella sua proprietà in Sicilia.
A questo punto del racconto ci colleghiamo al corteo in aperta campagna.
Nelle sue volontà testamentarie volle, prima di riposare per sempre accanto al marito, tornare nel luogo che li accolse, innamorati come e più del primo giorno del loro incontro in America. Volle, in particolare, tornare nel giardino e che venisse raccolta una rosa da appoggiare sulla bara, per non andarsene da sola, ma da donna innamorata con una rosa da condividere per sempre con il suo uomo.