La Prefettura deve rispettare le forme procedimentali e consentire un reale contraddittorio durante il procedimento per l’emissione di interdittiva antimafia a carico di un’impresa. Diversamente, il provvedimento interdittivo non è valido, ma viziato nella legittimità e quindi senz’altro annullabile dal giudice amministrativo
Il caso riguarda una società di Palma di Montechiaro, operante nel settore della produzione di ghiaccio alimentare
Il caso
Con nota del dicembre 2023, la Prefettura di Agrigento preannunciava l’adozione di una informativa interdittiva a carico della ditta palmese.
Secondo la Prefettura, il pericolo di infiltrazione mafiosa nell’impresa veniva motivato sulla base della circostanza che il padre dell’amministratore unico della Società fosse stato condannato, con sentenza irrevocabile, a due anni di reclusione per il reato di sfruttamento del lavoro ex art. 603 bis del codice penale.
In sede procedimentale, la società chiariva che, a carico del padre dell’amministratore della società, sussisteva esclusivamente un sentenza di patteggiamento, evidenziando che -secondo il recente orientamento del Consiglio di Giustizia Amministrativa- la “sentenza di patteggiamento” fosse priva di effetti extrapenali ai sensi dell’art. 445 comma 1 bis del c.p.p costituendo, dunque, un elemento del tutto inidoneo a sostenere il giudizio di condizionamento mafioso.
Nondimeno, la Prefettura di Agrigento adottava ugualmente il provvedimento interdittivo, giustificando l’irrogazione della misura sulla base di altre circostanze, del tutto diverse rispetto a quelle indicate nella comunicazione di avvio del procedimento.
In particolar modo, la Prefettura di Agrigento motivava il provvedimento in ragione di presunte “frequentazioni” dell’amministratore della società con soggetti ritenuti vicini ad ambienti criminali.
Il contenzioso davanti al TAR
A questo punto l’amministratore della società con il patrocinio degli avvocati Girolamo Rubino e Rosario De Marco Capizzi ha impugnato l’informativa interdittiva davanti al T.A.R.-Sicilia di Palermo, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia .
In particolar modo, i legali hanno evidenziato che l’informativa impugnata fosse irrispettosa dell’art. 92 comma 2 bis del D.lgs 159/2011 secondo cui l’Amministrazione Prefettizia – in sede di instaurazione del contradditorio procedimentale – deve enunciare compiutamente gli elementi che ritiene sintomatici del pericolo di infiltrazione mafiosa.
In relazione a tale aspetto, gli avvocati Rubino e De Marco Capizzi hanno dunque sottolineato che la Prefettura, in sede di avvio del procedimento, avesse indicato un solo elemento (peraltro irrilevante) e non già l’intero quadro indiziario a sostegno dell’interdittiva, non consentendo dunque un reale contraddittorio.
Inoltre, i difensori. hanno rilevato che gli elementi acquisiti dalla Prefettura risultassero, in ogni caso, insufficienti a dimostrare qualsivoglia ipotetico pericolo di infiltrazione mafiosa della Società.
La sentenza in fase cautelare
Il T.A.R.-Sicilia di Palermo, in totale adesione alle tesi difensive degli avvocati Girolamo Rubino e Rosario De Marco Capizzi, ha ravvisato la violazione delle disposizioni di legge che disciplinano il contraddittorio procedimentale disponendo l’annullamento della misura interdittiva.
Da sottolineare come la sentenza del giudice amministrativo sia stata data senza indugio, già nella fase cautelare.