Favara è sempre stata una fortunata città “laboratorio” dove spesso si concretizzano progetti di significativa importanza destinati ad essere ripetuti poi in altri territori. Alla fortuna, di solito, si contrappone la sfortuna della mancata continuità. Tutto si cancella.
Dieci anni fa fra Giuseppe Maggiore guardiano del Convento S. Antonio di Favara organizzò la marcia della pace con i musulmani della provincia di Agrigento.
Si recò nella moschea di Agrigento e invitò in convento, in un incontro tra amici, l’imam Rhaziane Mahjoub, il presidente del Centro islamico Oltremare, Diova Abdelmjid e Driss Soulib.
Da quell’incontro e da altri, per la marcia della pace nel febbraio del 2015 arrivano a Favara tantissimi musulmani con i pullman e mezzi privati.
Partenza del corteo da piazza Cavour, strapiena di partecipanti nonostante la pioggia, e arrivo nella collina San Francesco, dove fra Giuseppe e l’imam si scambiarono i loro abiti. Il musulmano indossò il saio francescano e il frate quelli musulmani. Un grande momento di integrazione nato dalla missione francescana dell’accoglienza dei migranti, specie i minori, ospitati e assistiti nella Tenda di Abramo all’interno del convento.
E la Tenda di Abramo avvicinò i favaresi ai migranti ai quali non fecero mancare mai nulla. In un episodio, arrivò un vagone di scarpe alla notizia che i giovani ospiti ne avevano di bisogno.
Un grande momento di integrazione, di comunione e di confronto tra gente diversa per razza e cultura che fanno capire che i popoli tra di loro non sono nemici, anzi cercano di conoscersi e di fraternizzare. Concetti questi che ti tornano in mente oggi con le notizie di tanti, troppi bambini e vittime innocenti di guerre assurde.
Dieci anni fa, da Favara, è partito un forte segnale di pace e per non farlo cadere nell’oblio, mi è piaciuto parlarne.