“Viviamo in un’epoca segnata da una rivoluzione tecnologica che sta trasformando radicalmente le società umane.”
“La diffusione dell’intelligenza artificiale, del transumanesimo e del Metaverso rappresenta non solo un avanzamento tecnico, ma anche e soprattutto una cesura culturale e sociale. La tecnologia si intreccia strettamente con il modo in cui comunichiamo e costruiamo il significato sociale, non può essere neutra né ridotta a semplice strumento: è parte integrante dei processi di cambiamento culturale”.
Lo ha detto il professor Francesco Pira intervenendo al 57° Seminario itinerante organizzato dall’Università Popolare di Trieste a Gorizia per i docenti della ex Jugoslavia (Slovenia, Croazia e Montenegro) che insegnano nelle scuole italiane. 
Il docente di sociologia dell’Università di Messina è stato tra i relatori del seminario che ha visto la presenza di professori di università italiane e straniere. Nel corso del suo intervento, molto apprezzato e applaudito ha parlato di educazione, scuola, famiglia, nuove tecnologie e Intelligenza Artificiale.
“La questione del rapporto tra opportunità e rischi dell’intelligenza artificiale è centrale – ha detto il professor Pira nel corso della sua docenza – da un lato, le potenzialità sono enormi: si pensi al contributo che l’AI può offrire in ambito sanitario, come già avviene in molti ospedali, o in quello educativo, con strumenti avanzati come la Maestra Genia, capace di affiancare lo studente in maniera personalizzata.
Dall’altro, il rischio è che la tecnologia, se non governata, finisca per sostituire l’umano non solo nei compiti, ma nella relazione, nell’educazione, nella costruzione del senso. Sui social network, ad esempio, le intelligenze artificiali alimentano un ciclo continuo di esposizione e approvazione, che modifica profondamente il modo in cui ci rappresentiamo e percepiamo. La domanda non è se l’AI possa fare qualcosa meglio, ma a quale prezzo umano e sociale. Dal punto di vista sociologico, occorre comprendere come la società deciderà di sviluppare, distribuire e governare queste tecnologie. È una sfida culturale prima ancora che informatica.. La tecnologia non è un nemico, ma nemico può diventare un modello sociale che mercifica l’uomo, mette al centro il profitto, e dimentica la responsabilità educativa e relazionale. Il vero pericolo – ha concluso il sociologo- non è l’AI in sé, ma una società che non si pone le domande giuste: quanto vale la qualità rispetto alla quantità? Quanto conta l’etica nella corsa all’innovazione? E soprattutto: quale futuro vogliamo costruire?”