Per celebrare il riconoscimento di Agrigento quale Capitale Italiana della Cultura 2025, TUA – Trasporti Urbani Agrigento – ha “messo su strada” un’iniziativa visivamente d’impatto: i cosiddetti “Bus della Cultura”, sulle cui fiancate campeggiano i ritratti dei “grandi autori agrigentini”: Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri, creati dal noto vignettista Sergio Criminisi.
Un omaggio… in movimento quello di TUA che, nelle intenzioni, dovrebbe raccontare lo spirito culturale della città attraverso le figure dei ( rectius, di) grandi autori agrigentini: Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri.
Un’idea suggestiva e sicuramente da apprezzare; tuttavia emergono due stonature che non possono passare inosservate. Sui canali social Saistrasporti – e in particolare sulla pagina Instagram – è apparso un post promozionale in cui l’immagine associata a Leonardo Sciascia è in realtà quella di Andrea Camilleri e viceversa: “A bordo di questi bus- si legge nel post- lo spirito di tre grandi autori agrigentini rivive. “Cammilleri, intento a scrivere […]. Sciascia, infine è lì, nel bus, ispirato dall’idea di un racconto al quale dare vita”. Un errore, questo, che desta ironia: se l’obiettivo era valorizzare la cultura, la prima regola sarebbe stata conoscere almeno i volti di chi si intende omaggiare. ( Si allega foto eloquente).
Ma a risultare clamorosa è l’assenza di Antonio Russello, figura chiave della letteratura del Novecento, originario, come avrebbe scritto lui stesso, di “Favara di Agrigento”.
Autore di romanzi come “La luna si mangia i morti” e “Giangiacomo e Giambattista”, finalista al Campiello nel 1970, Russello ha raccontato la Sicilia interna con una forza narrativa e un impegno civile che non ha nulla da invidiare agli altri celebrati. Eppure, nel trinomio proposto sui bus – Pirandello, Sciascia, Camilleri – non c’è spazio per lui: un poker d’assi sfumato.
Il volto di Antonio Russello è presente, nero su bianco (anzi, rosa su marrone), sul cartello della Strada degli Scrittori, all’interno della rotonda San Pietro, nei pressi di Agrigento. Insieme a lui, i volti stilizzati degli agrigentini Pirandello, Camilleri, Sciascia ed anche Rosso di San Secondo (nisseno) e Giuseppe Tomasi di Lampedusa (originario di Palermo).
Eppure, fuori da quella targa, il suo nome scompare, la sua opera viene taciuta, il suo legame con il territorio ignorato. Mentre si commettono scivoloni grossolani sulla comunicazione social – come lo scambio tra Camilleri e Sciascia – la figura di Russello resta relegata ai margini, nonostante la sua indiscutibile rilevanza letteraria.
Memorare iuvat: nel 1960 tramite Elio Vittorini, la casa editrice più importante in Italia, La Mondadori, pubblicava “La luna si mangia i morti” di Antonio Russello preferendolo al più noto “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Avrebbe potuto e dovuto essere il preludio di un carriera a tutto gas, da formula 1 ed invece, non gli si dà neanche il biglietto per… salire su un bus.
In un anno così importante, in cui Agrigento si offre agli occhi del mondo come capitale culturale, dimenticare un autore del calibro di Russello è più di una semplice svista: è una mancanza storica!
Quando si parla di cultura occorre fare attenzione a dove si mettono i piedi, anzi, le ruote, il rischio è quello di cadere in una promozione superficiale, facendo memoria solo dei nomi più noti, ed obliando chi parimenti ha saputo rappresentare la Sicilia più autentica e profonda.
Voce di uno che grida nel deserto insieme a pochi altri, quella di Salvatore Ferlita, professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università degli studi di Enna Kore, critico letterario e saggista, collabora a «la Repubblica» (edizione siciliana) e dirige diverse collane editoriali.
Ferlita, nell’ampia prefazione dell’edizione Medinova del libro (novembre 2024), sottolinea le varie sfaccettature dell’opera e degli altri scritti di Russello attraverso una panoramica dalla quale “viene fuori il ritratto di un autore che ha continuamente messo in discussione se stesso, cercando di rinnovarsi ogni volta, cimentandosi in sempre diverse imprese stilistiche.In poche parole, Russello è stato posseduto da una sorta di continuo dinamismo della scrittura, dal demone della trasformazione, che lo ha costretto a una incessante, rabbiosa mobilità narrativa. E questa sua divorante ansia sperimentale ha dato luogo a opere di grande modernità […].
Un’occasione mancata? Forse. Ma anche un’occasione ancora tutta da recuperare in…”corsa”. L’auspicio è che TUA colga l’opportunità per rimediare all’oblio, per soffiare via quel pesante velo di polvere che avvolge Antonio Russello e restituirgli il posto che merita non solo sul Bus, ma soprattutto, nella memoria e nell’immaginario culturale di Agrigento.
Russello è rimasto fedele alla sua terra, seppur trasferito a Padova, perché, scriveva: “C’è una fedeltà al di fuori della quale, se l’autore si mette, rischia di essere orfano, rischia che la sua terra gli diventi matrigna”. Lui è rimasto fedele, seppur migrato,ètempo che la sua terra gli sia madre!
Parafrasando Russello:
“Vorrei che ti sollevassero come non hanno potuto mai fare con nessuno dei nostri. Nessuno di noi ha migliorato qui. Questo vuol dire che c’è un destino, una maledizione, che le teste sono guaste. […]